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Cosa accadrebbe se la Bce avesse anche il mandato di sostenere economia e occupazione? | L’analisi di Angelo de Mattia

Due immagini diverse in questa fase: da un lato, la finanza pubblica, dall’altro, le banche.

Quanto alla prima, oggi potremo verificare se effettivamente il governo ha deciso di approvare, per ora, un Documento di economia e finanza con i soli dati tendenziali, escludendo le proposte programmatiche, la cui decisione sarebbe rinviata a dopo le elezioni europee e, più in particolare, a quando, probabilmente luglio, la Commissione Ue pubblicherà le sue Raccomandazioni.

Sarebbe una scelta ispirata da prudenza e verosimilmente dall’intento di evitare che sulla parte programmatica, che è la rappresentazione principe della linea di politica economica del governo, si apra un dibattito che si intrecci con quello della battaglia elettorale.

Bisogna, per converso, tener conto che i programmi indicati nel Def ad aprile sono, innanzitutto per i tempi della loro presentazione, naturalmente sottoposti a revisione a settembre con la Nadef, la Nota di aggiornamento.

Pur se mancheranno oggi le cifre (e sarà una non affatto irrilevante quasi novità, con qualche precedente dovuto a ragioni diverse), dal governo ci si attendono quanto meno indicazioni, benché di carattere generale, su come intende muoversi nello specifico campo.

Dall’altro lato, come si è accennato, le banche che si apprestano a tenere le assemblee di bilancio (tra le altre, Unicredit il 12 prossimo) nelle quali presenteranno i molto positivi risultati dell’esercizio 2023, dovuti anche ai riflessi della politica monetaria della Bce.

Nel settore, si arricchiscono così le iniziative espressione della responsabilità sociale d’impresa, da ultimo, il riconfermato sostegno di Bper al Premio Strega e programmi per i giovani, come sottolineato dalla dirigente responsabile, Serena Morgagni.

Più che sugli sviluppi a medio termine con riferimento a ipotesi di consolidamento nel settore, il dibattito pubblico, magari scimmiottando il dibattito tenutosi per la Confindustria, comincia con larghissimo e non utile anticipo a concentrarsi sull’assemblea annuale dell’Abi che si terrà il 9 luglio e sulle decisioni che si ipotizza potranno essere assunte a proposito del vertice, mentre sembra passare in secondo piano la valutazione dell’importanza della continuità di una rappresentanza dinamica che fin qui non ha registrato motivi di critica o, peggio, di inadeguatezza, ma è stata diffusamente apprezzata.

Quali che saranno le scelte che spetteranno all’autonomia della categoria con l’auspicabile più ampio consenso degli intermediari (il che esclude posizioni egemoniche) l’intempestivo dibattito appare pure poco informato, non considerando in qualche ipotesi formulata che alla carica apicale dell’Abi è eleggibile solo chi ricopra la stessa carica in un associato capogruppo di un gruppo bancario (art. 12 dello statuto).

Una ragione in più per la migliore opzione: quella di rinviare, qualora se ne avverta il bisogno, il dibattito già tentato a febbraio quando Francesco Profumo si dimise dalla carica di presidente dell’Acri, a una fase più avanzata.

Meglio approfondire temi cruciali, come quello trattato da Pierluigi Ciocca, accademico dei Lincei, già vice direttore generale della Banca d’Italia, in un articolo sul Corriere della Sera.

In questo fondamentale contributo Ciocca, tra le altre proposte, sostiene la necessità di una riforma con l’introduzione del doppio mandato per la Bce: non solo stabilità dei prezzi, ma anche sostegno all’economia e all’occupazione.

Occorre altresì rendere più stretto il legame tra braccio della politica monetaria e braccio della supervisione creditizia.

C’è materia ampia per un dibattito, questo sì molto valido, se si tiene conto anche delle non lontane posizioni di Paolo Savona, presidente della Consob.

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