Michele Carlet, imprenditore e amministratore delegato di Check Up, azienda impegnata nel settore dell’elettronica e dell’innovazione tecnologica, ha rilasciato un’intervista esclusiva all’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia. L’azienda può vantare più di 30 anni di impegno nell’ambito della realizzazione di dispositivi medici, ma anche partnership con i più importanti brand nel mondo del benessere, degli elettrodomestici e molto altro ancora.
La vostra azienda lavora da anni nell’ambito della salvaguardia della salute e del benessere della persona, già molto prima della pandemia Covid. Da dove nasce il vostro impegno?
«Inizialmente lavoravo nel settore militare, ma non faceva per me. Così abbiamo costruito questa nuova azienda, fondata su un diverso modello di business. Dandole il nome “Check Up” – perché il nostro intento era fare un check-up della tecnologia – il passo da lì a lavorare nell’ambito della salute è stato breve. Negli anni ci siamo impegnati nel campo della diagnostica, della cura delle persone, ma anche del benessere. Non a caso, collaboriamo ormai da 25 anni con Jacuzzi, per la realizzazione di prodotti wellness», racconta l’imprenditore.
«Negli ultimi 5 o 6 anni, i prodotti che produciamo sono creati con l’intento di dare assistenza e migliorare la vita delle persone, sia a casa che sul posto di lavoro. Ricalcando un po’ la filosofia giapponese, abbiamo scelto di mettere la persona al centro del nostro business», spiega. «Pensare che la gente stia meglio utilizzando i nostri prodotti è una cosa che ci gratifica immensamente».
In proposito, Check Up ha recentemente lanciato Puricraft, una nuova linea di sanificatori d’aria, ci può parlare di questo nuovo progetto?
«Mi permetto di fare un appunto e specificare la differenza importante, tra due apparecchi che possono essere facilmente confusi: purificatori d’aria e sanificatori d’aria. Si tratta di due cose ben diverse. Il primo è fatto di filtri, che si occupano di purificare l’aria. Non solo si tratta di oggetti rumorosi, ma il filtro diventa un ricettacolo batterico: tutto ciò che raccoglie rimane al suo interno, rimanendo attivo e moltiplicandosi. Inoltre, i filtri – che vanno sostituiti periodicamente – hanno un costo pari quasi al costo del macchinario».
«Noi abbiamo scelto di non mettere filtri: l’aria passa attraverso il dispositivo e viene sanificata. Non ci sono filtri, non c’è manutenzione – se non quella semestrale di banale pulizia. Ciò comporta pochi costi, bassissima rumorosità e l’efficacia si ottiene senza impattare i costi di gestione. Abbiamo diversi prodotti sul mercato. Quelli fissi, rivolti a hotel, uffici, case; e quelli portatili, più nuovi. Questi ultimi sono a batterie, hanno una lunga durata e si possono portare ovunque, garantendo una protezione costante».
«Quando si parla di questi prodotti di sanificazioni parlano di un’eliminazione dei batteri pari al “99,9%”. Per ottenere quel risultato lì servono trattamenti chimici, termici. Sono promesse irrealizzabili. Il nostro dispositivo portatile dopo un quarto d’ora sanifica l’aria oltre il 90 per certo, dopo mezz’ora oltre il 93 per cento. Sono risultati che abbiamo testato, non solo sulle superfici, ma nell’aria con trial scientifici. Sono ottimi risultati, pari a quelli di una mascherina chirurgica», sottolinea Carlet.
«C’è da sottolineare anche un altro aspetto cruciale. È vero che c’è stata una grave pandemia, ma non è l’unica: ci sono molti altri patogeni pericolosi da cui doversi difendere. Con la collaborazione del Federico II di Napoli abbiamo testato anche con la legionella, isolata in corsia ospedaliera – problematica molto presente negli ospedali campani. I dispositivi fissi arrivano fino al 98,8 per l’eliminazione dei batteri. Di più non si va. E in ogni caso, parliamo sempre di un ottimo risultato», afferma. «Ci piace dire come stanno le cose, non vendiamo magia nera».
La crisi energetica ha messo in grossa difficoltà molte aziende italiane, come avete reagito a questa nuova emergenza? Quali nuove sfide che vi trovate a fronteggiare?
«La prima cosa che abbiamo fatto è aggiornare le nostre linee guida, suggerendo tutte quelle pratiche che possono sembrare piccole – come spegnere la luce andando in pausa pranzo, non lasciare in standby il pc la sera – ma che nella somma finale aiutano. Prima si teneva la tutto acceso nei capannoni, ora abbiamo preferito spegnere l’aria compressa fino a quando non c’è assoluta necessità di utilizzarla. Si è fatto il possibile. Ora stiamo partendo con una startup che vuole essere a impatto zero e dove andremo a recuperare solo energia ambientale utilizzando nano tecnologie associate all’elettronica: senza più aver bisogno dell’energia elettrica in sé per sé e nemmeno delle batterie».
«Il problema dello smaltimento delle batterie è molto grave. Per questo nel progettare i dispositivi è bene pensare a come non lasciare ai posteri un’eredità gravosa. Noi abbiamo la fortuna di essere nel gruppo di acquisto di Confindustria, ma ho sentito colleghi che sono in proprio e il rincaro energetico ha sollevato davvero situazioni che fanno rabbrividire».
Il conflitto russo-ucraino, oltre alla crisi energetica, ha aggravato anche gli aumenti sul costo delle materie prime, che interessa molto il settore della tecnologia. Quali ritiene siano le misure da adottare per mitigare questa ulteriore complicazione?
«È un disastro sotto tutti i punti di vista», afferma senza esitazione. «Sono due anni che stiamo fronteggiando questa forte crisi, a cui ora si è aggiunto anche il problema del cambio dell’euro – che pesa circa il 20 per cento sull’acquisto dei materiali. Questo è un enorme problema nella logica dell’importazione, perché tante materie prima arrivano dall’estremo oriente. Le linee guida in questo caso sono ben poche».
«Noi siamo system partner di STMicroelectronics, e anche confrontandoci con loro ci è chiaro che a breve termine non ci sia soluzione. Il mercato europeo è quello più piccolo a livello mondiale, e per il 60 per cento è in Germania; quindi, noi siamo un elemento ulteriormente piccolo a livello globale. Gli aumenti sul costo degli acquisti stanno salendo dal 30 fino al 50 per cento, e non stanno calando né caleranno. Purtroppo, non sembra ci sia una soluzione, perché il mercato sta chiedendo ancora di più rispetto all’offerta».
«Produrre chip è un processo lento. Dal momento in cui si comincia a costruire una fabbrica fino alla produzione passano più o meno 3 anni. Questa problematica rimarrà ancora per diversi anni. Ovviamente ci sono keyclient (come Apple), che hanno una posizione preferenziale e riusciranno comunque a far arrivare i loro prodotti sul mercato, ma le Pmi europee soffriranno tantissimo. E noi siamo in questo ambito», spiega. «Ciò sta comportando rincari importanti che poi vanno a fare peso inflazionistico sul prodotto finito. Credo che al momento nessun imprenditore nel mio settore abbia una vera soluzione da proporre».
Si parla sempre più di “innovazione”, elemento chiave della ripartenza, ma anche fondativo del vostro modello di business. Oggi cosa vuol dire per voi innovare?
«Sicuramente per noi l’innovazione si fonda su tre pilastri fondamentali: competenze, tecnologia e collaborazione. Innovare significa passare per ambiti applicativi mai pensati dagli altri, ovvero: una tecnologia creata per uno scopo noi la mettiamo al servizio di un altro obiettivo, creando un nuovo uso che andrà poi integrato ad altre tecnologie. L’innovazione, quindi, si forma grazie a una serie di competenze. Nel processo di innovazione l’elettronica contribuisce circa del 20 per cento, ma da soli non saremmo in grado di fare vera innovazione. Faremmo un’innovazione incrementale, ma non di strappi. Per realizzarla a pieno servono diversi soggetti che lavorino insieme», sostiene. «È quello che stiamo facendo da 3 anni con il progetto Puricraft, dove abbiamo creato una squadra composta da diversi specialisti che hanno competenze utili per la realizzazione delle nostre idee».
«Attiviamo queste collaborazioni perché sappiamo quanto è importante sapersi mettere in discussione. Vogliamo che i nostri prodotti rispondano a criteri scientifici. Per questo abbiamo chiesto al professor Marco Guida (dell’Università degli studi di Napoli Federico II) di dirci, dal punto di vista scientifico, quale sia la soluzione più adatta in base all’idea che abbiamo avuto, con test report che ne dimostrino la validità. Solo così possiamo sapere se quello che facciamo è davvero efficace. Molte aziende vanno al buio e mettono sul mercato prodotti che non hanno ricevuto un reale approfondimento. Noi non lavoriamo così. Tra le nostre partnership ci sono laboratori di certificazione, perché per noi le cose devono essere sicure oltre che efficaci».
Un altro importante requisito per la ripresa del Paese è la sostenibilità ambientale. Quali iniziative avete messo in campo per rendere la vostra azienda più green?
«Quando si fa un report di sostenibilità una scheda elettronica è una tra le cose più inquinanti che ci siano. Quello che cerchiamo di fare in fase di progettazione è pensare a come si possa recuperare – intera o per parti – per ridurre il suo impatto sull’ambiente. Negli ultimi due anni stiamo utilizzando solo materiali riciclati e utilizziamo solo legno proveniente da foreste certificate. Questi sono i provvedimenti che abbiamo messo in atto nella filiera».
«Stiamo collaborando con delle università da un anno circa a un progetto per recuperare energia dall’ambiente: otteniamo l’energia mettendo degli elettrodi nel terreno, e non si tratta solo di grandi campi, ma anche piccoli spazi», rimarca. «Stiamo lavorando in un ecosistema di competenze, il che ci ha permesso di entrare in contatto anche con un’azienda di Milano che fa celle fotovoltaiche con molecole organiche: dal PET delle bottiglie di plastica riciclata viene stampata la cella fotovoltaica dalla quale poi, quando non dovesse più funzionare, sarà nuovamente riciclata. Questa è una frontiera che ci attrae moltissimo: le principali fonti di inquinamento del nostro settore provengono dall’elettronica, dalla plastica e dai metalli. Più riusciamo a riciclare e meglio è».
Questo è anche un periodo di cambiamento nel mondo della politica. Quale ritiene debbano essere le priorità del nuovo governo?
«È facile dirlo. Siamo in una fase recessiva, lo dice il mondo intero. E sappiamo il motivo. Innanzitutto, c’è un forte timore da parte dei consumatori di fare investimenti, visto il contesto di crisi di cui abbiamo parlato. Snellire la burocrazia sarebbe già un primo passo per risparmiare e aiutare l’economia, che non è solo l’impresa ma anche i cittadini: sono loro a liberare le risorse per poi calmierare l’inflazione e i costi dell’energia. Direi che si può partire da qui».
Carlet si definisce “apolitico” per appartenenza, ma segue con attenzione i temi della politica. «Un altro sogno – che ormai ho da tanti anni – è che venga realizzata una riforma della Giustizia importante, perché i contenziosi e molte altre problematiche di fatto frenano l’economia e gli investimenti dall’estero. Come dicevo prima, l’innovazione si fa a fattor comune: lo stesso vale per la crescita. Parlo in ambito europeo, perché mi ritengo un europeista: non possiamo fare a meno degli altri Paesi membri. Dobbiamo essere sempre più uniti, ora più che mai, perché abbiamo davanti sfide mondiali da affrontare. La globalizzazione è finita e ora dobbiamo fare i conti con il blocco dell’Asia e del Nord America».
«Per quanto riguarda il nuovo governo, io accetto sempre chi vince, che sia di sinistra o di destra, l’importante è che chiunque ci sia a governare faccia del bene al nostro Paese. Di certo non invidio il ruolo di Giorgia Meloni, che si trova a raccogliere il suo mandato in un momento molto difficile. In ogni caso, sono contento che finalmente ci sia una donna a capo del governo, a prescindere dal colore politico», ma non manca qualche perplessità sulla coalizione dove «non tutti sembrano aver chiare quali siano le priorità del Paese».
«Un’ultima cosa, che ritengo fondamentale, è che tutti paghino le tasse. Non si può continuare con i condoni: non servono a nessuno. Le tasse vanno pagate, altrimenti il sistema Paese non funziona e vanno a mancare i soldi per calmierare prezzi di benzina, elettricità, e per gestire la sanità. Senza senso civico non si va da nessuna parte». E in conclusione aggiunge: «sono positivo per il 2023. Sono convinto che, grazie alla passione che muove molti imprenditori, potremo tirare fuori elementi di successo, che ci daranno modo di andare a migliorare la nostra situazione. Poi rimane l’incognita della Russia, ma noi continueremo a fare tutto il possibile impiegando il massimo delle nostre capacità».








