La questione del gap nella distribuzione dei vaccini nei Paesi più «disagiati» torna ad attirare l’attenzione con la variante Omicron. Ne parla Goffredo Buccini, sottolineando un paradosso: «tuttavia» scrive l’editorialista «molti dossier sul continente africano mostrano come persino una massiccia (e sacrosanta) spedizione di dosi sarebbe condizione necessaria ma non sufficiente a scongiurare nuove evoluzioni virali in questa parte del pianeta».
«In termini più crudi, pur nell’ipotesi assai auspicabile che l’Occidente benestante si decida a scuotersi dal suo torpore, se non per motivi umanitari almeno per ragioni di autotutela, i vaccini da soli rischiano di diventare, negli anni a venire, ciò che per decenni sono state le piogge di aiuti finanziari all’Africa: non una soluzione effettiva ma un totem, sul quale scaricare ipocrisie e sensi di colpa irranciditi. Stavolta bisogna uscire dall’equivoco», scrive sul Corriere della Sera.
«Tuttavia, l’Africa ci mette davanti a un triste paradosso: se stasera Europa e Nordamerica le mandassero due miliardi e mezzo di dosi (doppia vaccinazione per un miliardo e 300 milioni di africani) è plausibile che parte di esse finirebbe in una discarica. Perché i vaccini sono solo la faccia più vistosa del problema. L’altra è l’assenza di strumenti, conoscenze, trasporti, personale idoneo, insomma tutto l’apparato per attivare il quale, persino in un Paese ricco e avanzato quale l’Italia, è stato necessario schierare un esperto di logistica come il generale Figliuolo. Ma la variabile più devastante in Africa è l’assenza di statualità e, ove lo Stato esista, la sua scarsa credibilità tra i cittadini».
«In Africa il vero alleato del Covid è la sfiducia verso le istituzioni oi loro simulacri, la stessa che trae origine da decenni di aiuti economici finiti nelle tasche di despoti e dignitari corrotti. Nella conclamata vaghezza degli organismi internazionali la risposta potrà forse venire da missioni europee rafforzate dall’Unione africana, che accompagnino i vaccini con medici, infermieri, cooperanti, soldati nelle contrade più sperdute, per convincere, assistere, immunizzare. Un’impresa ardua e visionaria che» conclude «qualche mummia novecentesca bollerà magari di colonialismo sanitario. Ma che, in una barca globalizzata dove tutti insieme ci salviamo o affondiamo, si chiama buonsenso solidale».
Per saperne di più:








