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Bandiere nel vuoto politico | L’analisi di Antonio Polito

Se il famoso «marziano» partorito dalla fantasia di Ennio Flaiano fosse sbarcato a Roma in questo fine settimana, sarebbe rimasto sorpreso nel vedere che l’opposizione al governo in carica è nelle mani di due sindacati: il sindacato dei magistrati e il sindacato dei lavoratori dipendenti (in maggioranza pensionati)”.

Lo scrive Antonio Polito sul Corriere della Sera parlando di ‘bandiere nel vuoto politico’:

Le due manifestazioni di lotta del week end sono state anche simbolicamente unite da un tratto etico ed epico comune, e cioè la presenza in entrambe di Sigfrido Ranucci. Toghe e piazze sono in realtà da trent’anni dei veri e propri totem della sinistra in Italia. Ma in passato, seppure a intermittenza – osserva l’editorialista – i partiti che di volta in volta la rappresentavano si sono sforzati di fare una sintesi politica delle loro ragioni, mantenendo così nel Parlamento il centro dello scontro democratico. Ora invece l’Anm guida direttamente il comitato per il No al referendum sulla riforma costituzionale della giustizia, così come la Cgil guidò quello per il Sì all’abolizione del Jobs Act, poi fallito per mancanza di quorum.

Questo è sicuramente un problema in una democrazia rappresentativa. Soprattutto perché affida a interessi costituiti, quindi per definizione parziali per quanto rispettabilissimi, il regolamento dei conti in campi che riguardano l’intera comunità nazionale. Indebolendo così alla lunga il ruolo del Parlamento, già afono di suo. Ma ciò che interessa qui non è giudicare la riforma: se ne avrà tutto il tempo (a partire dalla domanda cruciale, e cioè se serve davvero) quando comincerà la campagna referendaria prevista nel 2026, davvero la «madre di tutte le battaglie» per il governo Meloni.

Conta di più oggi valutare il grado di dipendenza dell’opposizione politica dalle toghe e dalla Cgil. In realtà due alti esponenti del Pd hanno mostrato di recente un certo imbarazzo a mettersi dietro le bandiere dell’Anm, temendo di pagare un prezzo a quella che ammettono essere una caduta di «credibilità» della categoria presso l’opinione pubblica. Per cui annunciano che non faranno una campagna elettorale in difesa dei magistrati, ma contro Giorgia Meloni e il suo tentativo di prendersi tutto, compreso il Quirinale, nella prossima legislatura. Il che – conclude – per quanto riveli un po’ ingenuamente il vero e implicito contenuto di una battaglia che dovrebbe essere sul merito della riforma, quantomeno è un ragionamento politico.

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