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Massimiliano Atelli: “Il libero mercato, l’interesse nazionale e i confini del potere statale” | L’intervento

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All’illusione di illimitatezza dei confini immateriali della finanziarizzazione dell’economia (Lehman B, docet) e, soprattutto, ad un’espansione demografica a forte propulsione ancorché a distribuzione asimmetrica (da 1 a 8 miliardi di abitanti in soli 100 anni, con più alta concentrazione in alcune aree del globo) fa da contraltare, da sempre, l’insuperabile finitezza fisica dei confini dell’unico pianeta sul quale, per ora, risulta possibile la vita.

Espansione demografica e finitezza fisica del pianeta conoscono inevitabilmente punti di tensione, in particolare, sulle materie prime (e, quindi, sui loro fattori produzione). Ciò vale tanto per le terre rare (litio, in primo luogo) quanto per le risorse da cui dipende, primariamente, la vita (cibo e acqua).

Nel tempo dell’affermazione piena dell’economia di mercato, che significa valorizzazione massima (se non primazia) dell’autonomia privata e della libertà di iniziativa economica, diventa così necessario – per contrappeso – fissare il limite minimo al di sotto del quale l’interesse pubblico (sub specie di interesse nazionale, diverso da paese a Paese, tempo per tempo) non può arretrare.

Di qui, il riconoscimento (anche a livello comunitario, seppur dopo tentennamenti e qualche passaggio contraddittorio) di speciali poteri, in capo allo Stato, idonei a porre argini non valicabili. Perfino, rendendo legalmente inattuabili/ineseguibili, a date condizioni, decisioni assunte nelle forme di legge da organismi a forma societaria. In particolare, quando si tratti di operazioni deliberate dagli organi di società che, al fondo, null’altro siano se non un abile “travestimento” di entità sovrane. Per usare una formula icastica, potrebbe in simili situazioni parlarsi di organizzazioni societarie a sovranità (privatistica) limitata, in quanto a sovranità (pubblicistica) esorbitante e non sostenibile. Talora, si tratta perfino di organismi a forma societaria espressione di entità sovrane che abbracciano schemi alternativi all’economia di mercato.

Interessante, al riguardo, un recente arresto del Consiglio di Stato (Sez. IV, 9 gennaio 2023 n. 289), che ha ritenuto immune da censure l’esercizio, da parte dello Stato italiano, dei poteri speciali intestatigli dalla legge (conformemente al diritto UE), onde evitare il passaggio di mano in specie, l’acquisizione da parte di una società espressione della Repubblica popolare cinese di un’importante azienda operante nel campo delle sementi (“base imprescindibile di ogni coltivazione agricola”, come puntualizzato dai giudici di Palazzo Spada).

Sul piano strettamente tecnico, è da evidenziare che, per salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori reputati strategici e di interesse nazionale, il legislatore italiano ha organicamente disciplinato, sin dal 2012, la materia dei poteri speciali esercitabili dal Governo.

Essi attribuiscono principalmente la facoltà di porre il veto rispetto all’adozione di determinate delibere, atti e operazioni delle imprese che gestiscono attività strategiche in specifici settori, di dettare impegni e condizioni in caso di acquisito di partecipazioni in tali imprese, ovvero di opporsi all’acquisto delle medesime partecipazioni.

Chiaramente, l’esercizio di tali poteri deve essere in ogni caso attuato senza discriminazioni ed è consentito se si basa su criteri obiettivi, stabili e resi pubblici e se è giustificato da motivi imperiosi di interesse generale (la Commissione ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro, qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica purché, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, con esclusione di qualsivoglia interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico).

Inoltre, portata e consistenza dei poteri speciali devono rispettare il principio di proporzionalità, vale a dire deve attribuire allo Stato solo i poteri strettamente necessari per il conseguimento dell’obiettivo perseguito. Detti poteri, infatti, rappresentano il limite ordinamentale posto dalla legge a garanzia ultima dell’interesse nazionale nelle specifiche macro-aree economiche prese in considerazione; come tale, e proprio in quanto dettato a tutela di interessi fondamentali (“strategici”) della collettività nazionale come discrezionalmente apprezzati dal Consiglio dei Ministri, esige un fondamento normativo altrettanto ampio, elastico, flessibile ed inclusivo, che consenta di apprestare la massima e più efficace tutela agli (assai rilevanti) interessi sottostanti: in tale specifica ottica, esula qualunque addebito di indeterminatezza e genericità.

Il punto è confermato (nella decisione testé richiamata) dal Consiglio di Stato, laddove precisa che l’apprezzamento della strategicità di un’operazione in relazione all’interesse nazionale da parte del Consiglio dei Ministri ha tratti altamente discrezionali, posto che lo stesso concetto di interesse nazionale non è un prius, ossia un dato oggettivo preesistente in natura, bensì un posterius, ossia la risultante di valutazioni ed opzioni politiche.

Tale apprezzamento, proprio in quanto attiene ad un profilo di massima quale quello strategico, viene svolto dal Consiglio dei Ministri nell’ambito di un’ampia valutazione geopolitica proiettata a scenari futuri e può legittimamente essere proteso non solo a proteggere istanze nazionali, ma anche a non favorire esigenze e scopi di Stati ritenuti (non solo ostili, ma anche semplice mente) competitor o con i quali, comunque, i rapporti possano prospetticamente presentare profili di problematicità.

Siamo dunque di fronte a provvedimenti espressione di «amplissima discrezionalità, in ragione della natura degli interessi tutelati, attinenti alla sicurezza nazionale».

Avuto riguardo alle categorie pattizie tradizionali, trattasi di atto di alta amministrazione, nell’ambito del quale devono essere chiaramente e congruamente individuati «gli asset strategici rilevanti sotto il profilo dei fattori produttivi critici, delle tecnologie produttive e delle informazioni possedute».

Se l’azionariato di Stato è capacità (multiforme, nel tempo attuale) di influenza sulle decisioni di organizzazioni a forma societaria, allora in senso ampio vi rientrano anche i poteri (legislativamente attribuiti e definiti nella loro portata applicativa) di rendere persino legalmente inattuabili/ineseguibili, a date condizioni, decisioni assunte nelle forme di legge dagli organi competenti di società di capitali nelle quali lo Stato non possiede neppure un’azione e non è titolare di poteri intranei.

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