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Antonio Gozzi, presidente Federacciai: “Con il Green Deal nel 2030 dovrà chiudere un pezzo di industria europea” | Lo scenario

“Quando tra meno di 20 anni si scriverà un libro su questa fase della storia economica europea, questo libro sottolineerà gli aspetti irrazionali che ci sono stati e che permangono sul green deal.

Mi chiedo come sia possibile prendere misure senza analisi costi-benefici, senza fare analisi d’impatto ambientale e soprattutto senza essere consapevoli dell’impatto sull’economia reale delle misure che si prendono”.

Lo ha detto Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, parlando del green deal europeo durante la Festa dell’Ottimismo del quotidiano “Il Foglio” a Firenze.

Una misura che senza cambiamenti potrebbe “soffocare non solo l’industria italiana, ma quella europea“, ha osservato Gozzi.

Intervistato da Stefano Cingolani, il presidente di Federacciai ha spiegato: “Le misure vigenti oggi fanno sì che interi settori industriale europei, settori di base, chiudano nel 2030: l’acciaio da altoforno, la ceramica, pezzi di chimica, il vetro, settori in cima alla filiera produttiva della trasformazione industriale, se le cose restano come oggi, chiuderanno”.

Gozzi ha quindi illustrato le conseguenze a cascata sul resto dell’industria: “Chiudere l’acciaio prodotto dagli alti forni significa dare un colpo mortale definitivo all’automotive europeo perché noi siamo orgogliosi di fare acciaio prodotto da forno elettrico, ma con quello si fanno tutti i tipi di acciaio tranne uno, quello profondo stampato, che serve per fare le carrozzerie delle auto.

Dal 2030 non si potrà più produrre in Europa acciaio per le carrozzerie, che significa che per comprare questo acciaio l’industria automobilistica europea dovrà andare in Cina, Giappone e Corea, cioè dai concorrenti del settore automotive”.

Ma non può la nuova normativa europea essere un incentivo a migliorare la tecnologia, ha chiesto Cingolani a Gozzi.

“Indubbiamente, chiedere l’applicazione delle best available tecnology, delle migliori tecnologie disponibili, è giusto, ma l’Europa non può chiedere l’applicazione di tecnologie che non esistono, e in molti casi è così”.

Nel corso dell’intervista sul palco della Sala dei Cinquecento di Palazzo Vecchio Gozzi ha parlato anche dell’Ilva: “Tutto quello che si poteva fare per mettere in crisi il più grande e importante impianto siderurgico europeo è stato fatto: estremismo giudiziario, estremismo populista, qualcuno lo voleva trasformare in un parco giochi acquatico.

È stata fatto un esproprio senza indennizzo a una famiglia presentata come un’associazione a delinquere, mentre a Taranto i Riva hanno fatto i più grandi investimenti anche ambientali che nessuno aveva fatto prima e ricordiamoci che su 50 anni di vita dell’Ilva 35 sono stati di proprietà dello stato.

Dal 2012 a oggi, investimenti non ne sono stati più fatti.

Le gestioni commissariali hanno disintegrato 4 miliardi di patrimonio netto che i Riva avevano lasciato nell’azienda, non sono stati fatti interventi manutentivi, il degrado impiantistico è evidente: un impianto che aveva una capacità di 10 milioni di tonnellate l’anno fa fatica a produrne 2 e mezzo”.

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