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Antonella Polimeni, Rettrice Università La Sapienza: “Studiare allunga la vita” | Stati Generali della Ripartenza

Nella giornata del 24 novembre, la Rettrice dell’Università La Sapienza di Roma, Antonella Polimeni, ha dialogato con Elena Ugolini, Responsabile Generale Scuole Malpighi, già sottosegretario al Ministero della Pubblica Istruzione, durante il panel La formazione come asset strategico del Paese: il ruolo delle nuove generazioni e i valori (perduti?)”, nel corso degli Stati Generali della Ripartenza organizzati a Bologna dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia.

In merito all’Università ed al tema della motivazione e della curiosità che non finisce mai di rincorrere una meta successiva, Antonella Polimeni afferma: Ringrazio innanzitutto l’amico Balestra per l’invito di oggi. Le parole di Anna Finocchiaro mi richiamano il pensiero di Calamandrei sulla scuola e l’università come organi costituzionali e quindi come i luoghi nei quali noi dobbiamo formare non solo professionisti ma cittadini e cittadine, affinché possano comprendere, essere persone libere ed esercitare pienamente i propri diritti. Ed ecco, ora in questo momento storico in cui la parola complessità si sposa molto bene anche con quelle che sono le nuove professionalità, molti dei mestieri delle professioni del prossimo futuro probabilmente ad oggi non le conosciamo neanche. Ecco, io credo che le scuole ma, esprimendomi per quella che è la nostra competenza, soprattutto le università, in quanto essendo generaliste hanno a disposizione tutti i saperi, hanno il dovere, anche nella loro offerta formativa, di ragionare rispetto a questa complessità”.

“E questo mi consente di agganciare un altro tema, – prosegue Antonella Polimeni – sì, abbiamo tanti neet ma esistono anche gli elet, cioè i ragazzi che abbandonano e in questa quota parte di giovani è più alto ovviamente il tasso di disoccupazione. Allora noi abbiamo il dovere come sistema universitario nazionale di lavorare per un orientamento, quindi l’intercettamento precoce a livello scolastico ma anche, e questa è una responsabilità tutta dell’università, di affiancare nei primi anni, quindi dalle matricole ai primi due anni, per evitare gli abbandoni. È altrettanto vero che l’orientamento deve essere fatto con un ponte scuola-università, ed io auspico sempre una sinergia assoluta tra i nostri ministeri perché è vero che noi abbiamo un numero di laureati basso in Italia ma il delta di laureati che ci divide da altri paesi come la Francia, la Spagna e la Germania è fatto di titoli terziari che vengono dagli istituti tecnici superiori, per cui si tratta di trovare, e io credo che su questo bisognerà lavorare, un ponte scuola-università perché comunque quella fetta o platea di ragazzi non si iscriverebbero all’università e noi dobbiamo invece fare in modo che si iscrivano. E poi, un altro tema, bisognerebbe ricordare a tutti che studiare fa bene, fa bene perché si diventa cittadini più consapevoli, fa bene perché comunque la possibilità occupazionale e quindi il salario può essere più alto e, ultimo ma non ultimo, studiare allunga la vita”.

Sul tema della formazione dei docenti e su come l’università possa avere questa attenzione anche dal punto di vista didattico, Antonella Polimeni chiarisce il suo pensiero: “Sul tema della valutazione dell’attività didattica per i docenti universitari, dobbiamo ragionare sia in termini di reclutamento che di valutazione. L’inserimento nell’abilitazione scientifica nazionale valuta di fatto certamente il cursus didattico del docente, ma quello che pesa realmente è l’attività scientifica. E ad peggiorandum la 240 di fatto, cioè la famosa legge Gelmini, nel reclutamento poi del docente, ha lasciato, come giusto per carità, le autonomie universitarie e poi le eventuali o non eventuali prove didattiche. Noi nel nostro Ateneo le abbiamo mantenute, è evidente che nel passaggio di ruolo tra associato e ordinario non si fa, ma nei reclutamenti, diciamo ab initio. Quindi, la nuova generazione di docenti, ossia i ricercatori a tempo determinato di tipo A o quelli in tenure track B o RTT, secondo il nuovo dispositivo numero 79 del 22, teoricamente potrebbero poi andare in tenure track senza avere fatto un percorso didattico formativo. Quindi, l’ammortizzatore a questo vulnus viene sempre in autonomia universitaria dalle iniziative che nei singoli Atenei sono innestate, dei corsi obbligatori per i ricercatori di nuova assunzione sulle metodologie didattiche. La Sapienza ha un’esperienza ormai pluriennale in questo senso. Credo che però, nelle more della revisione della 240, questo elemento della prova didattica vada reinserito. Nelle normative precedenti la cogenza della prova didattica era assolutamente obbligatoria”.

Circa l’interazione dell’università per la formazione degli insegnanti, – conclude Antonella Polimeni – beh io credo che le misure del PNRR in questo senso abbiano dato, diciamo, e stiano dando la possibilità alle università di lavorare con dei centri dedicati nel decreto di agosto di quest’anno, che appunto mette una misura dedicata proprio per la costruzione dei centri di formazione insegnanti e quindi questo ha stimolato anche gli Atenei, che storicamente non erano attrezzati, a lavorare in questo senso. Con una possibilità, tra l’altro, di poter fruire, per metà dei decreti formativi, della didattica a distanza per i primi due anni e poi di andare a regime con la didattica in presenza, perché anche per la formazione dei professori universitari la didattica in presenza è insostituibile. Questo è un altro argomento che noi sottolineiamo con rigore”.

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