Dallo scorso giugno i tassi di interesse, fissati dalla Bce sui rifinanziamenti principali e sulle riserve non obbligatorie, sono pari – rispettivamente – al 4,25% e al 3,75% a fronte di un tasso medio di inflazione del 2,5% e di aspettative inflazionistiche di medio-lungo termine ‘ancorate’ al 2%. È poco probabile che questa intonazione restrittiva della politica monetaria dell’euro area, accentuata da riduzioni quantitative (in atto e in programma) nel bilancio della banca centrale, venga modificata dalle decisioni di domani. La Bce lascerà, infatti, invariati i suoi tassi di interesse.
Tale scelta va valutata alla luce di altri tre fattori che incombono sulla Ue. Primo, non essendo compensata da una ricorrente capacità fiscale centrale, la progressiva applicazione delle nuove regole fiscali ridurrà gli spazi di bilancio per molti Stati membri. Secondo, la pur timida ripresa dell’economia europea nel primo semestre dell’anno si è affidata a servizi tradizionali e rischia di infrangersi sul ristagno del settore manifatturiero. Terzo, l’impatto dell’attentato a Trump sulle prossime elezioni presidenziali statunitensi aumenta i rischi della Ue nel campo della difesa e rende ancora più urgente il cambiamento del modello produttivo europeo.
La reazione a questa situazione impone ingenti investimenti, pubblici e privati, nei settori della difesa, manifattura, servizi avanzati e formazione; e tali investimenti non sono certo agevolati da combinazioni restrittive di policy. È quindi necessario che la Bce sia pronta ad avviare, prima della fine dell’estate (ossia a metà settembre), una fase di riduzioni nei propri tassi d’interesse a prescindere dalle scelte monetarie di una banca centrale statunitense che, prima dell’attentato a Trump, incominciava a guardare con fiducia ai dati interni sull’inflazione ma che, ora, potrebbe preoccuparsi per il potenziale inflazionistico delle politiche autarchiche propugnate dal più probabile futuro presidente.
Questa scelta espansiva della Bce non dovrebbe, però, addossare alla politica monetaria l’improprio onere di camuffare le difficoltà della Ue (come negli anni 2011-2020). Essa dovrebbe aprire la strada a impegni centralizzati di bilancio, alla costruzione di mercati finanziari europei ‘spessi’ e a politiche industriali di medio-lungo termine.








