“Esperti di varie materie (economisti, sociologi, statistici, matematici, ecc.) ma anche politici, insieme per cercare di individuare in che modo l’Italia possa intraprendere il cammino dello sviluppo.
Si chiama Riparte l’Italia il think thank fondato dal giornalista Giuseppe Caporale e presieduto da Luigi Balestra, docente all’università di Bologna ed ex vice-presidente della Corte dei Conti, che ha tenuto l’annuale summit coi relatori impegnati a proporre le loro considerazioni e le loro ricette, uniti nella convinzione che sia possibile una cura ricostituente in grado di rimettere in sesto un Paese stagnante”.
Inizia così l’analisi di Carlo Valentini su Italia Oggi che commenta l’evento che ha visto intervenire oltre 140 relatori esponenti della classe dirigente del Paese e un uditorio qualificato di oltre 600 invitati. Oltre ad una diretta streaming aperta al pubblico e una cinquantina di giornalisti accreditati.
RICERCARE UNA RESPONSABILITÀ COLLETTIVA
Luigi Balestra, presidente di Riparte l’Italia: “La condivisione è la premessa per una ripartenza autentica. I grandi temi che vanno affrontati con urgenza richiedono un approccio integrato e un’azione coordinata tra i diversi attori istituzionali e sociali.
Dividersi e per di più polemizzare è sconfortante. Invece è quanto avviene, per esempio, sulla riforma della giustizia e sulla crisi del sistema sanitario.
Mentre, al contrario, tutti dovrebbero lavorare per cercare convergenze.
Bisogna avere consapevolezza che la coesione sociale è il fondamento della crescita economica e culturale del Paese, per imprimere accelerazione alla crescita occorre fare rete e quindi superare particolarismi e individualismi”.
PRESERVARE IL VALORE DELLA STABILITÀ
Stefano Pontecorvo, presidente di Leonardo: “Il sistema tiene e si rafforza, anche grazie alla stabilità, che è un valore importante e assolutamente da preservare, e alle politiche economiche del governo che vanno nella direzione giusta.
Il sistema industriale italiano ha nella resilienza una delle sue cifre principali.
Non vedo all’orizzonte alcuna recessione. Se ne parlava già prima dell’estate, ma nei fatti oggi la recessione non si vede.
Ci sono criticità su materie prime, personale qualificato e mercati in rallentamento in alcuni settori, come l’automotive, ma si registra anche un aumento esponenziale dell’agroindustria, dell’export e dei consumi.
La stabilità consente all’Italia di guardare con ottimismo al futuro”.
IMPEGNARSI IN MERCATI EXTRA-UE
Antonio Tajani, ministro degli Esteri: “Dobbiamo raggiungere l’obiettivo di 700 miliardi di export all’anno entro la fine della legislatura.
Per questo, lo scorso marzo, ho lanciato il Piano d’azione per l’export, in modo da rafforzare la presenza delle imprese nei mercati extra-Ue a più alto potenziale.
Ho presentato il Piano in tutte le mie missioni all’estero. L’ultima a Riad in Arabia Saudita, pochi giorni fa, dove ho aperto un grande business forum alla presenza di oltre mille imprese.
Tra pochi giorni mi recherò in India, per un’altra importante missione a trazione economica e per sostenere la realizzazione di IMEC, un corridoio economico e logistico tra India, Medio Oriente e Mediterraneo, in cui l’Italiasarà la porta dell’Europa per l’Asia.
Il mio impegno per la crescita è a tutto campo. Ho avviato una profonda riforma del ministero e ci sarà una Direzione generale dedicata alla crescita e all’export.
Ancora: il 17 dicembre presiederò a Milano la Conferenza nazionale dell’export, saranno presenti i nostri ambasciatori e i rappresentanti della squadra dell’internazionalizzazione (Ice, Sace, Simest e Cdp) per incontrare le imprese e sostenerle sui mercati esteri”.
LANCIARE IL PRODUCTIVITY ACT
Francesco Boccia, presidente dei senatori Pd: “La produttività non è una variabile tecnica, è la condizione della nostra libertà economica, la frontiera che decide se l’Italia cresce o arretra.
Con la fine del Pnrr riemergono tutti i limiti strutturali che avevamo solo temporaneamente compensato: senza una strategia seria rischiamo un ritorno alla stagnazione.
L’Italia rischia di restare un Paese dove si lavora più degli altri ma si guadagna meno degli altri.
Una situazione aggravata da un costo del capitale aumentato del 30% e da imprese che non investono più.
Di qui la proposta di un Productivity Act: serve un patto vero tra Stato, imprese e forze sociali con precise priorità: più investimenti in ricerca e sviluppo, incentivi selettivi per l’innovazione, formazione certificata 4.0, rafforzamento della filiera tecnico-professionale e universitaria”.
RAGIONARE IN UNA LOGICA DI ECOSISTEMA
Stefano Alfonso, al vertice di Deloitte: “Le aziende dovrebbero sempre più ragionare in una logica di ecosistema perché certe attività che prima potevano essere svolte in-house adesso e in futuro dovranno esserlo attraverso anche altre imprese.
Questo perché c’è meno disponibilità di forza lavoro e quindi la creazione di ecosistemi tra aziende diventa sempre più rilevante, sia in ottica nazionale che internazionale.
Un altro aspetto è quello della digitalizzazione, perché solo attraverso l’intelligenza artificiale ma anche attraverso le normali evoluzioni tecnologiche e digitali è possibile far fronte a una minore forza lavoro.
Infine vi è il tema legato all’invecchiamento e all’allungamento della vita lavorativa delle persone. Dobbiamo rafforzare il capitale umano esistente”.
PORRE FINE AL SALASSO DELLE RETRIBUZIONI
Giuseppe Coco, docente di Economia politica all’università di Firenze: “La ragione più pesante che motiva la stabilità della finanza pubblica è che alcune delle poste più grosse del bilancio pubblico sono cresciute molto meno dell’inflazione e quindi si sono ridotte in termini reali (o in rapporto al Pil).
Si tratta di stipendi pubblici e pensioni. Nel triennio dal 2021 la perdita di valore delle retribuzioni pubbliche è del 12%.
In altri termini un dipendente pubblico medio ha perso il 12% della sua retribuzione reale.
Inoltre, a costi crescenti, i trasferimenti ad esempio alla sanità sono cresciuti molto più lentamente.
Questo suggerisce che a mantenere in equilibrio la finanza pubblica sono stati i dipendenti pubblici e i servizi. Ma pure le retribuzioni nel settore privato hanno perso potere d’acquisto nella misura dell’11%.
Se un fornitore ha una diminuzione del costo principale di questa misura, diventa straordinariamente competitivo. Ma questa competitività ha una fonte precisa: l’impoverimento dei lavoratori.
In altri termini prosegue la nostra trasformazione in una economia arretrata, a bassa produttività e salari. Se non si inverte la tendenza, il malato va in agonia”.








