Lāintelligenza artificiale trasforma il modo di lavorare, prendere decisioni, vivere la quotidianitĆ . Circa 10,5 milioni di lavoratori italiani sono altamente esposti ai rischi dellāautomazione, in particolare tra le professioni meno qualificate come artigiani, operai e impiegati dāufficio.
Tuttavia, lāIA non si limita a sostituire attivitĆ esistenti: sta creando nuove opportunitĆ di lavoro specializzato per profili come data scientist, ingegneri di machine learning, esperti di sicurezza informatica. E potrebbe contribuire a compensare il calo demografico per cui si stimano 1,7 milioni di lavoratori in meno entro il 2030.
La vera rivoluzione in atto ĆØ però qualitativa. LāIA sta ridefinendo le competenze richieste in quasi tutte le professioni: da un lato, richiede nuove hard skill come alfabetizzazione digitale, analisi dei dati, logica algoritmica; dallāaltro, soft skill intrinsecamente umane, come pensiero critico, creativitĆ , empatia e capacitĆ di risolvere problemi complessi.
Il futuro dellāintelligenza artificiale in Italia (e il suo impatto sul lavoro) ĆØ tutto da scrivere e dipenderĆ dalle scelte che saranno compiute oggi da istituzioni e aziende in ambito educativo, sociale, etico e di governance.
Ć quanto emerge dal rapporto āIntelligenza artificiale: una riscoperta del lavoro umanoā della Fondazione Randstad AI & Humanities.
Lāanalisi stima che circa 10,5 milioni di lavoratori italiani siano altamente esposti al rischio di automazione, per cui lāIA potrebbe sostituire o integrare i task in modo complementare. Di questi, il 46,6% sono professionisti a bassa qualifica, il 43,5% a media e il 9,9% ad alta qualifica.
Ma lāimpatto dellāIA non ĆØ uniforme. Il profilo dei più esposti varia a seconda della dimensione demografica, di genere, geografica e settoriale. Le donne sono più esposte degli uomini, gli anziani più dei giovani (tra i 15 e i 24 anni) e il livello di istruzione ĆØ determinante: i titoli di studio più elevati sono tendenzialmente meno esposti al rischio di automazione.
Lāimpatto dellāIA ĆØ diverso sui territori, rileva lo studio. Le regioni legate alla manifattura tradizionale e a settori a bassa intensitĆ tecnologica sono più vulnerabili agli effetti sul lavoro dellāautomazione e della robotica nelle filiere industriali.
Le aree a forte vocazione tecnologica, come la Lombardia, il Veneto o lāEmilia-Romagna, sono più esposte alla necessitĆ di riqualifica, ma offrono anche maggiori opportunitĆ di occupazione nellāinnovazione.
Il settore manifatturiero e la logistica sono i più ad alto rischio di automazione e sostituzione di compiti fisici e routinari, insieme ai servizi a basso valore aggiunto, come le mansioni di supporto dāufficio, lāamministrazione e la ristorazione.
Al contrario, sanitĆ , servizi sociali, istruzione e ricerca, pur essendo interessati dallāintroduzione dellāIA, sono meno esposti alla sostituzione completa.
LāIA sta ridefinendo il concetto stesso di skill. Per lo sviluppo di hard skills serviranno importanti investimenti pubblici e privati in programmi di formazione continua di upskilling e reskilling per rendere accessibili a tutti competenze tecniche avanzate, come lāalfabetizzazione digitale, lāanalisi dei dati e lāinterazione con piattaforme di IA.
A differenza di quanto si potrebbe pensare, i lavoratori meno soggetti allāautomazione sono quelli che non effettuano mai smart working. Solo il 48,3% di questi ĆØ esposto.
Al contrario, i più esposti sono quelli che svolgono la propria attivitĆ sempre o in parte a distanza: lāesposizione allāintelligenza artificiale raggiunge lā82,5% per chi lavora almeno metĆ del proprio tempo da casa, e lā85,5% per chi lo fa per meno della metĆ del tempo.








