Che l’inflazione riduca il potere d’acquisto di ogni reddito nominale è risaputo.
Un reddito di 50000 euro, con un’inflazione del 10% perde in un anno 5000 euro di potere d’acquisto.
A questo si aggiunge il drenaggio fiscale.
Se, per esempio, l’aliquota media su un imponibile di 50000 fosse il 30%, il reddito disponibile, prima dell’episodio inflazionistico, sarebbe di 35000 euro (il 70% del reddito imponibile).
Con l’inflazione al 10% e reddito nominale invariato (come oggi è per i lavoratori dipendenti), il reddito reale disponibile si ridurrebbe a 30000 euro, ovvero il 66,66% del reddito reale ante imposte.
In effetti, l’aliquota nominale invariata (30%) è salita in termini reali al 33,33%.
Detto in altro modo, il reddito reale ante imposte, dopo l’inflazione, è il 90% di quello precedente all’inflazione, mentre il reddito disponibile si è ridotto all’85,7% di quello pre-inflazione.
Non è chiaro perché governo e opposizione si preoccupino di restituire ai cittadini (ad alcuni di essi, in realtà) parte del potere d’acquisto perduto con l’inflazione negli ultimi due anni con fantasiose proposte di detassazione delle tredicesime (che non tutti i contribuenti percepiscono) e bonus sulle bollette energetiche e quant’altro, più o meno mirati a favorire questa o quella fascia di reddito.
Mentre né governo né opposizione sembrano interessati a restituire ai cittadini il potere d’acquisto sottratto dallo Stato col fiscal drag.
Eppure, sarebbe sufficiente indicizzare, per ogni scaglione di reddito, le aliquote in modo da ridurre l’aliquota media di quanto serve ad eliminare il fiscal drag.
Nell’esempio precedente bisognerebbe ridurre le aliquote del 10%, in modo da ottenere un’aliquota media pari al 27%.
Sul reddito nominale di 50000 si pagherebbero ora tasse per 13500 euro, che rappresentano esattamente il 30% del reddito reale (cioè post-inflazione) di 45000.
Il fiscal drag verrebbe così sterilizzato (anche se il potere d’acquisto sottratto dall’inflazione, ovviamente, non lo sarebbe).
Risultato molto vicino (ma non identico) si otterrebbe indicizzando gli scaglioni invece delle aliquote. Certo, il governo perderebbe così il più facile e invisibile degli incrementi di entrate.
Non è difficile fare i calcoli, tenendo conto che l’inflazione media nel 2022 è stata in Italia pari all’8,2% e che nel 2023 si viaggia sul 7,6%.
Ma l’opposizione non dovrebbe richiedere che lo Stato non usi il drenaggio fiscale per taglieggiare il potere d’acquisto dei cittadini in aggiunta a quanto di per sé fa l’inflazione?








