La Uil punta il dito contro «la costante e pesante penalizzazione» che negli ultimi 15 anni ha subito il lavoro pubblico «da parte di tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese». Tra mancati rinnovi dei contratti e inflazione galoppante, i salari dei dipendenti pubblici sono rimasti al palo: dal 2008 ad oggi hanno perso oltre dieci punti rispetto all’andamento del costo della vita. Uil, con le federazioni del settore pubblico (Uil-Fpl, Uil Scuola Rua e UilPa), oltre alla perdita salariale, indica anche altre “iniquità'” rispetto al lavoro privato, come i tempi, lunghi, per ottenere il trattamento di fine rapporto/servizio (viene erogato dopo due anni, che possono diventare sette con la pensione anticipata) e l’assenza della detassazione della contrattazione di secondo livello nella Pa.
Elementi per cui «possiamo affermare senza ombra di dubbio che oggi lo Stato è il peggior datore di lavoro del nostro Paese», sostiene il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti. Dal 2008 nel pubblico impiego c’è stato il blocco della contrattazione, durato fino al 2016. Dal 2009 ad oggi, sempre secondo i calcoli del sindacato, «lo Stato ha risparmiato oltre 13 miliardi, per il costo degli stipendi, per il blocco del turn over e il mancato rinnovo contrattuale. Il personale in sette anni è diminuito di oltre 302 mila unità». Alla luce di tutto ciò, per la Uil «servirebbe un finanziamento tra i 7 e gli 11 miliardi» per il rinnovo dei contratti nel triennio 2022-24, «per recuperare l’inflazione e restituire dignità e giustizia» ai lavoratori pubblici.
Ma per la nuova tornata contrattuale le risorse, ad ora, non ci sono perché non sono state previste nell’ultima legge di Bilancio. Il tema sarà di certo al centro dell’incontro convocato dal ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, con i sindacati per venerdì 3 marzo a Palazzo Vidoni. Un primo tavolo di confronto per iniziare ad affrontare i temi legati al pubblico impiego. «Mi auguro che quest’anno non trascorra invano e ci sia un impegno politico a reperire le risorse per rinnovare i contratti anche nel 2022-24», afferma il presidente dell’Aran, Antonio Naddeo.
Questo è un elemento “imprescindibile”, rimarca il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri: «Se non ci sono i soldi, i contratti non si rinnovano ma i lavoratori hanno diritto al rinnovo per recuperare l’inflazione e il potere reale d’acquisto che hanno perso in questi anni». Fronte su cui i sindacati sono in pressing, sia per il rinnovo dei contratti pubblici che privati.
D’altronde l’impennata dell’inflazione si fa sentire sulla tenuta delle retribuzioni ma anche sul peso dei costi per le imprese. Che, dopo la caduta determinata dalla pandemia, provano a mantenere il recupero. Nel 2022 il fatturato dell’industria italiana ha registrato nel complesso una crescita sostenuta, pari al 18%, sebbene in decelerazione rispetto all’anno precedente, indicano i dati Istat. L’andamento nel corso dell’anno non è però stato costante: una forte espansione nei primi due trimestri, cui ha fatto seguito un deciso rallentamento nella seconda metà del 2022.
Il fatturato delle imprese dei servizi, sempre nel 2022, ha invece registrato una crescita del 13,5%, anche in questo caso in lieve rallentamento rispetto a quella del 2021. Resta una marcata differenziazione tra i settori: la crescita dello scorso anno è stata particolarmente robusta nei comparti legati al turismo. Tra questi, tuttavia, mentre le Attività dei servizi di alloggio e ristorazione hanno superato in maniera marcata i livelli del 2019, il trasporto aereo e le agenzie di viaggio sono ancora molto al di sotto dei livelli prepandemici.








