“Per il virus della poliomielite, come per quello del Covid, non è che tutti quelli che si infettavano dovessero per forza ammalarsi, i tre quarti non avevano sintomi e la gran parte degli altri aveva disturbi trascurabili, simili all’influenza, che guarivano da soli nel giro di pochi giorni. Solo lo 0,1 per cento di quelli che si infettavano sviluppava complicazioni”, scrive sul Corriere della Sera il medico Giuseppe Remuzzi nel citare un articolo, pubblicato sul Washington Post, di Ashish Jha, rettore della Brown University School of Public Health, che si è posto questo interrogativo: “Perchè poliomielite sì e Covid-19 no?”
E il medico spiega: “I bambini sono meno suscettibili degli adulti al coronavirus, questo lo sanno tutti ed è la ragione per cui non li si vorrebbe vaccinare, ma a pensarci bene era un po’ così anche per la polio: è vero che colpiva specialmente i piccoli, ma si andava incontro a un decorso più grave quando la malattia si manifestava in età adulta. In ogni caso, nonostante solo una piccola parte di coloro che contraevano l’infezione si ammalasse gravemente di polio o morisse la più grave epidemia di polio ha colpito gli Stati Uniti nel 1952 causando oltre 21 mila casi e tremila vittime tutti accolsero con entusiasmo il vaccino messo a punto da Jonas Salk”.
Si chiede Remuzzi: “La polio alla fine non c’è più, sarà così anche per il Covid-19? Penso proprio di no. Questo virus è troppo contagioso per essere vinto con il solo vaccino, sapremo tenerlo sotto controllo, causerà forme più lievi, ma starà con noi per un bel po’. A patto che si vaccinino i bambini, se no potrebbero essere proprio loro a essere più colpiti dal virus e sta già succedendo e a sviluppare forme più gravi di quelle che abbiamo visto finora”, conclude il medico.








