Una sintesi efficace l’ha fatta l’Ocse. Il reddito di cittadinanza “ha contribuito a ridurre il livello di povertà delle fasce più indigenti della popolazione” ma “il numero di beneficiari che di fatto hanno poi trovato impiego è scarso“. La misura, fortemente voluta dal M5s, divide le forze di maggioranza. Di certo il governo ha aperto un ‘cantiere’ per introdurre modifiche a questo strumento, anche con l’istituzione di un’apposita commissione di esperti, ma non per cancellarlo.
Le modifiche saranno in legge di Bilancio, ha fatto trapelare il premier Mario Draghi che nel recente passato ha detto di condividere la filosofia di questo strumento che però “ha alcuni limiti, soprattutto per quanto riguarda le politiche attive del lavoro“. Dai meccanismi per la ricerca del lavoro all’impatto sulle famiglie numerose: a due anni e mezzo dall’entrata in vigore alcuni nodi stanno venendo al pettine e saranno affrontati.
POLITICHE ATTIVE E LAVORO DI CITTADINANZA
Il collegamento tra la percezione del reddito e la ricerca del lavoro è il grande flop della misura. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando sta lavorando ad un progetto per le politiche attive, che non tocca però il reddito di cittadinanza. Al momento il ministero punta al rafforzamento dei centri per l’impiego (mancano ancora molte delle assunzioni programmate) anche se da questi passa meno del 5% delle assunzioni. Per il resto le persone si affidano alle agenzie private ed ai canali informali.
Il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha invece ipotizzato la trasformazione in lavoro di Cittadinanza: l’idea è quella di porre in collegamento l’aiuto dello Stato al fatto che molte aziende lamentano al Mise di non riuscire a trovare manodopera non specializzata. Un nodo legato anche al fatto che il reddito di cittadinanza – viene evidenziato – diventa una sorta di concorrenza rispetto a lavori caratterizzati dal salario basso. Gli ultimi dati Anpal, aggiornati al 30 giugno, dicono che su oltre tre milioni di persone interessate sono 1.150.152 quelli che devono sottoscrivere il patto sul lavoro. Tra questi sono stati presi in carico oltre 392.000 persone (il 34,1%) ma non è chiaro quanti siano quelli che hanno trovato un lavoro dato che l’Anpal non fornisce più questo dato. Erano 92.000 in base all’ultimo dato degli occupati risalente a novembre 2020.
FAMIGLIE NUMEROSE
Sono le più penalizzate dalla misura attuale soprattutto a causa del sistema di equivalenza che assegna valore uno al primo componente, 0,4 ai maggiorenni della famiglia e solo 0,2 ai minorenni, con il paradosso che una madre single con tre figli piccoli ha un valore di 1,6 sia per il reddito al di sotto del quale é considerata povera sia per il beneficio che può ottenere; due adulti e un figlio maggiorenne hanno valore 1,8. Si lavora a una modifica della scala parametrale dando più valore ai minorenni.
TERRITORIO
La misura contro la povertà non tiene conto di tutti i criteri Istat secondo i quali si è considerati poveri. Uno di questi tiene conto della residenza e del tipo di comune nel quale si abita. In pratica a parità di componenti della famiglia e di reddito si è più poveri se si vive a Milano piuttosto che in un comune in provincia di Crotone. E’ possibile che si lavori su un legame con il territorio per quanto riguarda la parte del beneficio erogata per l’affitto.
PAUSA
Al momento è prevista una pausa di tre mesi nell’erogazione del reddito dopo che lo si è percepito per 18 mesi. Si sta quantificando quanto potrebbe costare l’eliminazione della pausa per le famiglie con minori.
CONTROLLI
Un altro tema sul quale si discute è quello dei controlli. A luglio hanno ricevuto il sussidio 1,37 milioni di famiglie per oltre tre milioni di persone coinvolte e 754 milioni di spesa nel mese. La maggior parte delle famiglie che lo riceve è composta da single (il 44% a fronte del 7,7% con almeno cinque componenti). Si studia un modo per far sì che questo flusso di denaro raggiunga le persone davvero in difficoltà.








