Una volta, gli italiani erano tutti allenatori (al bar) della Nazionale. Ora sono tutti epidemiologi.
In particolare, lo sono diventati gli economisti, costretti a ponderare vaccini e contagi per tarare la bussola delle prospettive congiunturali. Il 2020 ha reso tutti più umili: la seconda ondata d’autunno e poi la terza di questa primavera, con le quarantene collegate, hanno ogni volta fatto saltare ottimismo e previsioni, costringendo il paese a ricominciare, o quasi, da capo. Ad ogni cambio di stagione, ripartenza rinviata.
Ora, siamo di nuovo al via. Draghi parla di “rischio ragionato” nel calendario di riaperture, ma le immagini di gioventù assembrata senza mascherina alla Darsena di Milano, già il giorno prima del ritorno in zona gialla, evocano il timore che al governo, pressato dalla Lega, sia slittata la frizione.
L’Italia riapre, anche se non completamente, scuole comprese, due settimane dopo la Gran Bretagna, ma con la metà dei vaccinati. La speranza è che l’accelerazione della campagna di vaccinazioni, insieme all’arrivo dei primi caldi, possa bloccare una ripresa dei contagi.
Per ora, gli immunizzati sono ancora troppo pochi: appena più di 17 milioni quelli che hanno ricevuto almeno una dose. Al ritmo attuale, a metà maggio avremo oltre il 90 per cento di vaccinati, in categorie a rischio, come gli ospiti delle Rsa, il personale sanitario e gli over 80, ma ancora solo il 40 per cento nel personale scolastico e in chi ha più di 70 anni.
I calcoli fatti, a livello europeo, da studiosi indipendenti dai governi valutano che, in Italia l’immunità di gregge (70 per cento di vaccinati fra i 52 milioni di over 16) sarà raggiunta a fine ottobre, con qualche giorno di vantaggio su Francia e Germania. Il governo è più ottimista.
Nel Def, il Documento di economia e finanza appena varato, si ribadisce l’obiettivo dell’80 per cento di vaccinati entro settembre. Ma se continuassimo a litigare con Astra Zeneca sulla fornitura di vaccini?
In questo caso, sempre secondo il Def, ovvero se si ripetessero i disguidi dei mesi appena trascorsi, l’obiettivo dell’80 per cento sarebbe raggiunto a fine ottobre.
Prima, per fortuna, di una nuova stagione invernale, gravida di incognite pandemiche.
Ma dopo, purtroppo, una estate in cui riposano, invece, molte delle probabilità che il paese si rialzi rapidamente in piedi.
Una ripresa è, infatti, decisiva per disinnescare le mine dei prossimi mesi.
Una economia di nuovo in marcia, infatti, consente di assorbire con maggiore serenità la fine del blocco dei licenziamenti, dei sostegni al credito delle aziende e, contemporaneamente, di cominciare a smontare il castello dei sussidi, dando fiato al bilancio dello Stato. Ma la partita si gioca adesso.
Le previsioni relativamente ottimistiche del Def non resterebbero in piedi, se l’economia aspettasse, per ripartire, le scadenze di settembre o ottobre.
Il percorso disegnato dal governo nel Def prevede, infatti, per quest’anno, una crescita del 4,1 per cento e del 4,8 per cento il prossimo, che si dovrebbe concludere riportando il Pil nazionale al livello pre-pandemia.
Un ritmo inferiore al 6 per cento azzardato dai documenti governativi lo scorso settembre, prima del doppio colpo delle due ondate di contagi, ma ancora sostenuto, rispetto alla situazione presente.
Inutile illudersi, infatti, di ripetere il piccolo miracolo della scorsa estate, quando l’economia, fra luglio e settembre, si rivelò capace di un rimbalzo al di là di ogni previsione: alla fine, il terzo trimestre 2020 registrò una crescita di oltre il 15 per cento, rispetto alla primavera, contribuendo a limare di oltre mezzo punto la caduta prevista del Pil 2020.
Ma, allora, c’era metà industria, fermata dal lockdown, che ripartiva a pieno regime. Quest’anno, invece, la produzione industriale già viaggia a ritmi sostenuti e un boom non è nelle carte.
In più, l’anno scorso, il turismo e i servizi connessi, che valgono circa un sesto dell’economia italiana, mostrarono un forte recupero estivo: agosto, a sentire molti operatori, fu quasi un mese normale.
Per il 2021, invece, il Def ci crede poco: nelle previsioni, si valuta che una ripresa del turismo ci sarà solo nel 2022.
La macchina dell’economia, insomma, dovrebbe ripartire alla grande, ma senza fare affidamento su un rimbalzo dell’industria o del turismo.
L’ottimismo 2021 del governo sembra, cioè, fondarsi soprattutto sulla convinzione che il paese stia ricevendo una robusta iniezione di fiducia e di serenità che rimetta in moto le leve fondamentali dei consumi e degli investimenti, grazie anche alla messa in campo dei primi ambiziosi progetti di spesa pubblica, legati al Recovery Fund.
E’ una diagnosi troppo generica per giustificare l’ottimismo?
C’è un paradosso, in realtà, che scorre lungo tutto questo Def targato Draghi: prospettive forse più ottimistiche di quel che ci si sarebbe aspettati, come la crescita al 4,5 per cento del 2021, che si basano su previsioni più pessimistiche di quanto sarebbe lecito supporre.
Sul turismo, ad esempio, che potrebbe ripetere, invece, l’insperato risultato del 2020. E anche sulle vaccinazioni.
Nel fissare l’obiettivo dell’80 per cento di immunizzati a fine estate, il governo si basa, infatti, sul numero di persone che hanno ricevuto le due dosi prescritte.
Anche solo una dose di Pfizer, piuttosto che di Astra Zeneca, dicono i primi dati che arrivano dalle esperienze di Israele e della Gran Bretagna, fornisce, però, una protezione non totale, ma robusta, paragonabile a quella dei vaccini per altre malattie.
Ad oggi, gli italiani che hanno ricevuto almeno una dose sono 17 milioni. Per arrivare al 70 per cento di italiani over 16 “quasi immunizzati” con una dose bisogna vaccinarne più o meno altrettanti: altri 19 milioni. Al ritmo anche solo di 300 mila vaccinazioni al giorno, ci si arriva in due mesi. Fine giugno, insomma, non pare un obiettivo impossibile.








