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Pietro Guindani (presidente Asstel-Assotelecomunicazioni): «Per costruire fondamenta digitali servono 10 mld. Il 17,7% dei civici italiani non ha accesso ultra-broadband»

Sono 4,2 miliardi per lo sviluppo di Banda larga, 5G e monitoraggio satellitare, destinati nel Recovery Plan italiano. Di questi 900 milioni sono destinati a un progetto per il satellitare, 1,1 miliardi ai voucher e 1,1 sono la riproposizione di fondi già stanziati per le aree grigie. Un totale ancora insufficiente, perché «così è difficile costruire le fondamenta. Occorre destinare non meno di 10 miliardi di euro per complementare gli investimenti dei privati». Ad affermarlo è Pietro Guindani, presidente di Asstel-Assotelecomunicazioni, intervistato dal Messaggero.

«La commissione Ue ha stimato nell’arco di 7 anni 70 miliardi di investimenti per la copertura ultrabroadband in Italia. Gli investimenti che gli operatori privati riescono ad esprimere sono circa 7 miliardi l’anno (il 25% del loro fatturato), vi è esigenza di un investimento pubblico a complemento. Non solo per il co-finanziamento pubblico-privato per le aree a minor ritorno economico ma anche per l’accelerazione della conclusione dell’infrastruttura di rete che, in questo modo, deve essere completata entro il 2026, che è l’anno entro cui  si deve concludere la realizzazione del Pnrr».

Secondo Guindani sarà necessario sburocratizzare i processi autorizzativi imponendo un limite di 60 giorni e pianificando un percorso di  alfabetizzazione digitale che duri 18 anni. «Occorrerebbe investire sulle tecnologie radio aperte. Il cosiddetto standard OpenRan da sviluppare a livello europeo, proprio come accadde con il Gsm, consentirebbe la nascita di nuovi fornitori, oltre ai pochissimi che esistono al mondo, che potrebbero produrre apparati trasmissivi radio con standard non proprietari. Ma questo necessita di un investimento in ricerca e sviluppo in cui coinvolgere imprese, università e centri di ricerca, in modo da garantire qualità e interoperabilità. La Germania nell’ambito del suo Pnrr ci ha investito 2 miliardi. E anche l’Italia dovrebbe fare lo stesso».

Senza infrastrutture digitali adeguate, viene giù tutto il castello. Mancherebbero le fondamenta, fondamentali per costruire il Pnrr italiano. «Le infrastrutture sono le fondamenta della trasformazione digitale del Paese, senza di esse gli stanziamenti previsti nel Pnrr per digitalizzare la Pa o le imprese non raggiungerebbero il traguardo».

L’altro tragico problema è quello di un’Italia digitale a due facce. Perché se è vero che gran parte del Paese è collegato, c’è ancora una grande parte che invece non viene raggiunto da alcuna tecnologia. «Abbiamo la necessità di dare a cittadini e imprese pari opportunità di vivere la conversione digitale, ovunque esse siano collocate. In tutto il Paese è necessario che vi siano reti che consentano l’accesso secondo gli standard definiti dall’Europa di Very High Capacity Networks, VHCN che rappresenta oggi la frontiera tecnologica. Le faccio un esempio, oltre alle aree bianche del piano BUL, già in corso di infrastrutturazione, secondo le rilevazioni di Infratel, il 17,7% dei civici italiani, a fine 2019, non avevano accesso a nessuna tecnologia ultra-broadband. Occorre lavorare a una soluzione»

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