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Roberta Metsola, presidente Parlamento Europeo: «Mai avrei immaginato un’Europa unita come lo è ora. Sì a Kiev nell’Ue nel 2030» | L’intervista di Federico Thoman

Appena entrata nella Sala Albertini, il «tempio» del Corriere, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola si guarda intorno: appese alle pareti, le prime pagine storiche del giornale, dalla prima del 5 marzo 1876 fino a quella dell’elezione di papa Leone XIV. L’occhio però le cade subito su quella del 25 giugno 2016, titolo di apertura: «Il colpo all’Europa». Tra il curioso e il preoccupato, Metsola, intervistata da Federico Thoman sul Corriere della Sera di sabato 25 ottobre, chiede a che cosa si riferisce. Risposta: «Alla Brexit».

A quel punto la presidente — 46enne maltese, esponente del Ppe e in carica dal 2022 – si siede e ascolta le domande, a cui risponde col suo italiano fluente alternato, per le questioni tecniche, all’inglese. Al Consiglio europeo di giovedì sono state prese alcune decisioni, come l’ennesimo pacchetto di sanzioni per la Russia, ma non altre, a partire dall’uso degli asset russi congelati nell’Ue per finanziare l’Ucraina. «Io sono convinta che l’Europa, l’ho notato anche giovedì parlando con tutti i capi di governo e di Stato, dal lato politico non stia mollando: l’approvazione dell’ennesimo pacchetto di sanzioni è stata un grande successo. II problema semmai è che quando prendiamo una decisione per un dossier su cui si lavorava da mesi e mesi e poi invece non troviamo l’accordo su un tema, questo viene rappresentato come una catastrofe totale».

Che cosa è successo sugli asset russi? «Era prevedibile che se il Belgio (il Paese in cui è attualmente bloccata la stragrande maggioranza degli asset russi in Europa, ndr) non avesse avuto le rassicurazioni e le garanzie giuridiche sarebbe andata così: non può avere tutto sulle sue spalle. Ci sono sensibilità diverse. Ma non avrei mai pensato, tre anni e mezzo fa, che saremmo stati, politicamente, così compatti. Poi è ottobre… è il periodo della legge di Bilancio nei Paesi membri, c’è grande nervosismo nelle persone e nelle coalizioni. A dicembre invece sono tutti un po’ più propensi a dire… “ok, spingiamoci oltre”. Questa è la mia teoria (sorride, ndr)».

II presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ospite al Consiglio, non ha però ottenuto quel che desiderava. «Quel che è stato deciso è importante per il presidente Zelensky. Anche se qualche volta sembra frustrato, io lo capisco: lui è andato a Bruxelles, tutti si fanno una foto con lui, tutti gli dicono “siamo con te fino alla fine” poi si aggiornano con un “ok, ci vediamo a dicembre”. Ma di una cosa sono sicura: come ha detto un primo ministro al Consiglio, non possiamo come Europa essere solo “peace-taker” (spettatori della pace, ndr) ma “peace-maker” (promotori della pace, ndr)». Sulla guerra in corso: con l’idea della soluzione «coreana» di congelare il conflitto sull’attuale linea del fronte si è andati un po’ a rimorchio di Trump. Non servirebbe, da parte dell’Ue, una posizione chiara e compatta? «Io penso quello che abbiamo detto fin dal 2014 (anno dell’occupazione russa della Crimea e dell’inizio della guerra in Donbass, ndr): non si decide niente sull’Ucraina senza coinvolgere l’Ucraina. Siamo tutti compatti su questo punto: non possiamo parlare del territorio di un Paese se quel Paese non dice sì. La pace senza giustizia, dignità né integrità territoriale non è pace».

La commissaria Ue all’allargamento Marta Kos ha indicato il 2030 come data d’ingresso per l’Ucraina. La ritiene verosimile? «Sì, se penso alla velocità con cui l’Ucraina e la Moldavia hanno preso decisioni che altri Paesi prendono nel corso di anni. Ma è anche una questione di merito, c’è ancora moltissimo da fare. Fino a ora hanno fatto un ottimo percorso da Paesi candidati».

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