Nella Legge di bilancio ci sono misure importanti per cercare di far crescere i salari e la produttività attraverso la contrattazione.
Prima dell’approvazione della Legge di bilancio, il Governo ha presentato alle parti sociali il Documento programmatico di bilancio che ne ha delineato il perimetro. Nel confronto, il ministro dell’Economia Giorgetti ha innanzitutto confermato che nel triennio 2025-2028 l’Italia deve rispettare l’impegno assunto nel Piano strutturale di bilancio concordato con l’Ue e approvato l’anno scorso. Inoltre, ha spiegato che nella manovra due miliardi di euro sarebbero stati destinati all’adeguamento delle retribuzioni al costo della vita per i dipendenti del privato.
Premesso che la Legge di bilancio non è ancora nota in tutti i suoi dettagli e che a breve comincerà il suo iter parlamentare, le norme presentate sul capitolo lavoro sembrano tracciare una strada ben precisa.
Una prima misura dovrebbe prevedere la riduzione al 10% dell’Irpef, che sostituirà l’aliquota marginale, sugli incrementi retributivi riconosciuti ai lavoratori in attuazione dei rinnovi dei Contratti collettivi nazionali a decorrere dal 1° gennaio 2026 e per l’intera vigenza contrattuale.
Nel confronto coi sindacati è emersa la possibilità che questa cedola secca possa valere anche per i rinnovi contrattuali antecedenti alla data del prossimo gennaio. Va detto che nella conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri di ieri, il presidente del Consiglio Meloni ha spiegato che l’aliquota sarà del 5% per i redditi fino a 28.000 euro annui e che la misura riguarderà anche i rinnovi contrattuali avvenuti nel 2025.
Resta da capire, tuttavia, se troverà spazio anche l’adeguamento economico in caso di mancato rinnovo dei contratti collettivi attraverso lo strumento dell’Ipca (Indice dei prezzi al consumo armonizzato), una specie di indennità di vacanza contrattuale (Ivc) introdotta con l’accordo interconfederale del 1993 ed eliminata sette anni fa nel settore privato ma mantenuta nel pubblico. Questa norma riconosceva un importo pari al 30% del tasso di inflazione programmato applicato ai minimi retribuiti contrattuali vigenti e dopo sei mesi di vacanza contrattuale la quota economica saliva al 50%.
Certamente questi importi, come l’una tantum che viene concordata alla firma di un contratto, non permettono di recuperare totalmente la perdita salariale, per questo è importante che le parti sociali rispettino le scadenze dei rinnovi contrattuali. Per milioni di lavoratori che non hanno gli aumenti individuali, il rinnovo del Ccnl è l’unico riferimento. Non dobbiamo tornare alla scala mobile, né rinunciare alla contrattazione aziendale, ma serve una norma che eviti ritardi nei rinnovi e introduca una clausola di salvaguardia e di adeguamento, così da proteggere i salari da futuri shock inflazionistici.
Un’altra misura emersa dal confronto con le parti sociali è un’aliquota fiscale sempre al 10% sul lavoro notturno, festivo e sullo straordinario, oltre al raddoppio degli importi esentasse per i fringe benefit. Con queste novità si conferma, ancora una volta, la volontà di premiare il lavoro di prossimità e la crescita in azienda, attraverso la detassazione dei premi di produttività e di risultato concordati in azienda.
Queste norme negli ultimi anni più volte sono state richieste al Governo dalle parti sociali (Cisl, Uil e dall’ala riformista della Cgil), oltre che dalle associazioni datoriali, ma sono state sempre respinte dalla Ragioneria generale dello Stato per mancanza di copertura finanziaria. Ora che queste coperture, a detta del ministro del Lavoro Calderone, sono state trovate, si spera in una loro approvazione senza nessun problema, anche perché in questo caso verrebbe valorizzata la contrattazione di secondo livello tra i datori di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori.
Altra misura che direttamente andrà a beneficio di lavoratori e pensionati sarà la riduzione del carico fiscale al ceto medio, intervenendo sull’aliquota dal 35% al 33% fino a un reddito di 50.000 euro, che costerà circa tre miliardi, non escludendo un intervento oltre quel limite come richiesto da più parti. Le leggi di bilancio degli ultimi anni hanno avuto grande attenzione nei riguardi dei redditi più bassi, ora il Governo ha finito di utilizzare la leva fiscale per queste persone.
Purtroppo, da molti anni, chi guadagna da 35.000 euro lordi in su paga più tasse, anche perché Comuni e Regioni hanno aumentato le addizionali Irpef per compensare il blocco dei trasferimenti statali. Allora il taglio dell’aliquota di mezzo fino a 60.000 euro lordi ha una valenza compiuta se si vuole aiutare il ceto medio che in questi anni non ha mai visto una riduzione fiscale.
Ora l’iter parlamentare permetterà di definire la Legge di bilancio per il 2026 e se non ci sarà “l’attacco alla diligenza” per stravolgerla e ci saranno tutte le coperture finanziarie, forse si aiuterà concretamente, con questa strumentazione, a far crescere la responsabilità delle parti sociali, soprattutto nei luoghi di prossimità, attraverso accordi che possono far aumentare la produttività, che è uno dei veri problemi del nostro Paese.