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La sfida (globale) di Trump | L’analisi di Federico Fubini

“Il denaro non è mai molto lontano dai pensieri quando parla Donald Trump e il suo discorso alla Knesset, lunedì, non poteva fare eccezione”.

Così Federico Fubini sul Corriere della Sera: “Ogni accordo resta fragile. Se però tutto andasse per il meglio – osserva l’editorialista – saranno in effetti i sovrani del Golfo a pagare per i colossali appalti che molti anche in Europa e in Italia — non solo fra gli amici e parenti di Trump — sperano di ottenere a Gaza.

Eppure, nel discorso di Trump alla Knesset non si avvertiva solo voglia di business e opportunismo.

Non sarebbe onesto negare che si intravede una strategia.

Il presidente ha richiamato gli Accordi di Abramo del suo primo mandato, sottoscritti per ora da Emirati Arabi, Bahrein, Marocco e Sudan, insieme a Israele e Stati Uniti.

La grande posta adesso è far aderire l’Arabia Saudita e il Qatar.

E questa è solo una parte della visione di Trump, perché c’è anche altro.

Lo si è capito quando, alla fine del discorso alla Knesset, il presidente ha richiamato un’area di pace e commerci che parta dall’Indonesia (altro Paese che non riconosce Israele), attraverso l’India e il Pakistan, il Golfo, la Siria, la Giordania, i grandi porti israeliani a Haifa e Tel Aviv e l’Egitto.

È – ricorda Fubini – una rotta alternativa alla Via della Seta cinese voluta da Xi Jinping.

Il successo di questa strategia di Trump per Gaza è dunque un diretto interesse italiano.

Una Via del Cotone dall’Asia del Sud-Est al Mediterraneo sarebbe oggi il modo di Trump di immaginare una versione moderna del «containment» attorno alla Cina.

Nessuno, tra l’altro, ha creduto fosse fortuito che Pechino abbia reso noto il suo blocco all’export di terre rare proprio nel giorno in cui la Casa Bianca annunciava l’accordo su Gaza, quasi a contendersi la scena globale.

Non mancano dunque le idee interessanti, in Trump.

Ma possono funzionare?

Trump non può allo stesso tempo maltrattare, umiliare, minacciare e poi pretendere di reclutare gli stessi attori in nome della sua rivalità con la Cina.

Trump alla Knesset, questa settimana, ha vissuto il suo momento più alto da quando è in politica.

Ma anche le strategie più intriganti, per realizzarsi, hanno bisogno di pochi, semplici e impalpabili presupposti: credibilità e «soft power», capacità di dare e ispirare rispetto.

La prova del nove per l’America trumpianaconclude – sarà dimostrare di averne”.

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