Fabrizio Benente difende il rettore dell’Università di Genova sulle posizioni riguardo Gaza e le occupazioni universitarie.
“Su queste pagine – scrive – ho proposto riflessioni sulla soluzione dei ‘due popoli e due stati’ e analizzato il tema dell’uso politico di religione e storia.
Ho solo espresso alcune delle possibili opinioni interne all’Ateneo genovese, ma non ritengo che l’orecchio globale debba necessariamente prestare attenzione a una singola voce o al mezzo con cui viene esternata.
Indubbiamente, è necessaria una pluralità di voci e occorrono forme di confronto e non di conflitto.
Per questo, non mi sembra corretto affermare che l’Università di Genova ha scelto di schierarsi ‘dalla parte sbagliata della storia’ come hanno sostenuto alcuni.
Forse, l’Ateneo, inteso nel suo corpo maggioritario e sostanzialmente rappresentativo, si è rivelato eccessivamente prudente nell’esprimersi, ma non è mai venuto meno al compito di essere luogo della mediazione delle opinioni.
Ritengo che – a Genova – una forte e corretta denuncia sociale e umanitaria, unita a un sentimento diffuso di solidarietà, si sia incanalato (anche) in manifestazioni aspre verso il vertice dell’istituzione universitaria.
È del tutto lecito – sottolinea Benente – essere portatori di opinioni molto diverse, ma occorre considerare la reazione di chi non accetta di essere raffigurato come un bersaglio.
Questo ultimo aspetto è stato colto ed è stato espresso in forma di solidarietà, con punti di osservazione diversi dall’amministrazione comunale della città.
Non so come possa essere percepito dall’esterno, ma negli atenei italiani chi riveste ruoli apicali non è un sovrano plenipotenziario, perché esistono organi rappresentativi ed è prevista una periodica alternanza.
Ho la sensazione di lavorare in una comunità articolata, vivace, pluralista, ma che – nella sua parte maggioritaria, in alcune occasioni – rischia di sembrare poco incisiva.
Significa che questa parte, pur maggioritaria, incide meno di quanto dovrebbe, e reagisce molto meno di quanto potrebbe.
Su questo serve lavorare nei prossimi mesi, pensando all’Ateneo non come luogo di scontro istituzionale, ma come spazio per decodificare la quotidianità: terreno fertile dove far germinare opinioni e consapevolezze”.