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L’accordo per Gaza è tutto in salita | L’analisi di Lucio Caracciolo

Lucio Caracciolo su Repubblica commenta l’accordo su Gaza raggiunto ieri e avverte però che si tratta di “una strada tutta in salita”: “Non è la fine della guerra. Certo non quella sperata da Netanyahu. Per lui tutto si doveva concludere con la distruzione di Hamas. Ora è costretto a firmare un accordo con i capi del movimento che voleva annientare.

Ma – sottolinea l’editorialista – la partita per la pacificazione della Striscia e dell’intero Medio Oriente, rivendicata dal presidente degli Stati Uniti con toni millenaristici, resta tutta da giocare. Nella migliore ipotesi, l’accordo è il primo passo destinato ad avviare aspri negoziati sulla seconda fase del piano Trump. Nella peggiore, una pausa speriamo non breve in un conflitto fuori controllo. Alcuni dati appaiono comunque evidenti e premonitori.

Primo. Ci si accorge, dopo aver fatto finta di non vederlo, che a Hamas saranno restituiti circa duemila combattenti, tra cui vari ergastolani avvelenati dalla lunga detenzione.

Secondo. Non c’è né ci potrà essere accordo sul disarmo, ovvero sul suicidio di Hamas. Senza contare che ormai la causa palestinese si identifica con la resistenza islamista. Ciò che peraltro non dispiace alla gran parte degli israeliani che esclude per principio qualsiasi Stato palestinese, figuriamoci se retto dagli organizzatori del 7 ottobre.

Terzo. È tutto da vedere se, quando e come Hamas sgombrerà davvero Gaza. L’imposizione di un protettorato a guida americana resta aleatoria. Su questo e altro si giocherà nei prossimi giorni la sorte di Netanyahu e del suo governo. Fra gli apparati israeliani volano gli stracci. Il dato geopolitico più rilevante è il protagonismo di Ankara. I turchi, incoraggiati dagli americani, hanno avuto insieme ai qatarini un ruolo decisivo nell’accordo e lo avranno anche, in caso di tregua duratura, nella gestione della Striscia e dintorni.

Oggi per Israele la Turchia è di fatto il nemico numero uno. Più dell’Iran, fiaccato dai raid israeliani e dalle sconfitte in Siria e Libano. Erdogan ha schierato le sue pedine a ridosso di Israele. Indirettamente a Damasco, dalle cui periferie si intravvedono gli avamposti delle forze armate di Israele domani forse a Gaza.

Tutta la fascia del Mediterraneo orientale, con le sue enormi partite energetiche, è sotto sempre più forte pressione turca. Per la prima volta dalla fondazione lo Stato ebraico confina con una grande potenza in espansione. Fautrice, almeno a parole, della causa palestinese. Questa sì è storia. Israele – conclude – non può in alcun modo cantare vittoria”.

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