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La Ue, Gaza e il futuro | L’analisi di Goffredo Buccini

Come osserva Goffredo Buccini sul Corriere della Sera, la causa palestinese pare esercitare sui giovani occidentali un fascino simile a quello del Vietnam sulla generazione dei nonni.

Del resto nella Striscia di Gaza martoriata si trascina da due anni la più classica delle guerre asimmetriche, come insegna Michael Walzer. In questo tipo di conflitto si affrontano un combattente iper tecnologizzato, spesso indifferente ai danni collaterali, e uno che usa quale arma ibrida la propria stessa popolazione, nascondendosi fra le donne e i bambini e facendo così ricadere sul nemico l’onta della loro morte.

È automatica, quasi naturale, l’opzione di molti, segnatamente europei, cresciuti nella cultura dei diritti umani.

Meno naturale è lo slancio, in questo caso verrebbe da dire giovanile, di numerosi governanti occidentali, e nello specifico di grandi nazioni europee, verso il riconoscimento dello Stato di Palestina. Un atteggiamento molto impegnativo sul piano delle alleanze e dei rapporti internazionali.

Perché in definitiva è la posizione di alcuni importanti Paesi dell’Unione Europea a cambiare a fondo in queste ore i confini geopolitici tra l’Occidente e il cosiddetto Sud globale. Una parte assai rilevante della Ue, integrata dal Regno Unito, ha deciso di rompere gli indugi e di attribuire una dimensione statuale a quei territori frammentati e insanguinati.

In Palestina mancano molte delle caratteristiche minime per individuare uno Stato.

Non è necessario essere trumpiani per vedere che Hamas, già esultante, si presenterà agli occhi dei suoi connazionali come l’unico soggetto che sia riuscito a conseguire un risultato politico così clamoroso, tenendo peraltro ancora in cattività un buon numero di ostaggi catturati nel pogrom del 7 ottobre.

Non è così incomprensibile dunque l’estrema cautela del governo italiano e di quello tedesco davanti all’idea di riconoscere una statualità nella quale non si ravvisano né un’autorità condivisa né una giurisdizione uniforme, né un territorio definito né un’economia indipendente: null’altro che caos.

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