Analisi, scenari, inchieste, idee per costruire l'Italia del futuro

Bisogna ragionare oltre i dazi | L’analisi di Erico Verderi

Cerca
L'AUTORE DELL'ARTICOLO
ANALISI E SCENARI
OSSERVATORIO IDEE
OSSERVATORIO IMPRESE

Negli ultimi mesi, poco dopo l’insediamento del Presidente Trump, i dazi commerciali hanno catalizzato il dibattito economico e in parte politico; anche a valle dell’accordo siglato lo scorso 21 agosto non ne va diminuendo l’intensità. Per il vero un accordo che non è certo potersi considerare tombale, visti alcuni punti ancora aperti, nonché i rilevanti impegni collaterali assunti dall’UE, in primis gli acquisti di energia per 750 miliardi di dollari entro il 2028, per molti considerato non realizzabile, sia per quantità disponibile (USA), sia per la capacità di assorbimento del mercato UE. Il tutto indipendentemente dall’atteso pronunciamento della Corte Suprema USA sulla effettiva esistenza dei poteri in capo al Presidente a legiferare in materia dazi, a scapito del Congresso.

Dazi che, in gran parte, graveranno sui consumatori del ceto medio/basso americano e favoriranno nel tempo un graduale aumento dell’inflazione.

Giusto preoccuparsi per le nostre esportazioni, anche se i maggiori volumi sono da ricondursi a macchinari e apparecchi strumentali non comuni, a semilavorati da impiegare nell’industria farmaceutica, e a prodotti alimentari di nicchia e qualità, a cui gli statunitensi non rinunceranno, perché difficilmente sostituibili, quanto meno nel breve/medio periodo.

Premesso che i nuovi dazi creano un ulteriore ostacolo alle imprese italiane, in questa sede non si vuole disquisire la bontà o meno di quanto ottenuto nella trattativa come Unione Europea, bensì osservare quali tematiche rilevanti e di fondo si “nascondono” dietro ai dazi, sia per gli USA, sia per la UE.

Certamente per l’amministrazione statunitense la prima preoccupazione (quindi primo obiettivo), è mantenere la centralità del dollaro, come peraltro è stato dal dopoguerra a oggi. Centralità da intendersi come moneta regina degli scambi commerciali, ma ancor più significa non perdere la fiducia incondizionata che hanno sempre riconosciuto gli altri paesi. Fiducia che ha consentito agli Stati Uniti di attirare denaro/risparmio esterno e poter così finanziare il crescente debito pubblico (oggi al 120% del PIL), a tassi sostenibili. Osserviamo che da inizio anno la valuta statunitense si è deprezzata di poco meno del 15% nei confronti dell’euro, fenomeno che va ad accentuare l’effetto dazio.  

Lato Unione europea, ancor più per l’Italia, la partita si gioca, non è una novità, sulla produttività, che ci vede soccombenti verso gli USA. Negli ultimi anni il grafico si presenta in flessione. Ne è testimone il reddito pro/capite; eravamo riusciti a ridurre, ad avvicinare (ormai sono passati almeno due decenni) il dato degli USA, oggi la forbice è tornata ad ampliarsi. Forse ci eravamo illusi. Come ciclicamente è sempre accaduto, poi, con l’inizio del nuovo millennio sono intervenuti fenomeni “rivoluzionari”. Fenomeni individuabili nella tecnologia, nella digitalizzazione e più recentemente nell’intelligenza artificiale. Di certo sia l’UE che l’Italia non si sono prontamente adeguate, abbiamo perso in competitività, anziché essere attori protagonisti, siamo risultati spettatori attendisti, nonostante l’importanza della posta in gioco: il nostro equilibrio futuro.  

Nei giorni scorsi l’ISTAT ha comunicato che il prodotto interno lordo (Pil) è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, mentre è cresciuto dello 0,4% nei confronti dello stesso trimestre del 2024. La crescita acquisita per il 2025 risulta pari allo 0,5%. Evidenzia inoltre una stabilità dei consumi finali interni, una crescita delle importazioni dello 0,4%, al contrario le esportazioni segnano un -1,7%, forse il primo effetto dazi, anche dovuto al rilevante approvvigionamento di tanti paesi, nel corso del primo trimestre, in attesa dell’effettiva applicazione degli stessi.

Sempre l’ISTAT sul fronte prezzi segnala che ad agosto 2025, secondo le stime preliminari, l’inflazione scende all’1,6%, generato principalmente dalla flessione dei prezzi energetici. Al contrario, continua la corsa al rialzo dei prezzi del settore alimentare. Fattore quest’ultimo che porta a una crescita del carrello della spesa (+3,5% da +3,2%), una tegola per le famiglie italiane.

Di contro occorre evidenziare un’equilibrata politica sui conti pubblici con un rallentamento della crescita del debito pubblico, spread btp/bund ai minimi e il conseguente contenimento del costo interessi a sostegno del debito stesso. Bene, secondo l’ISTAT, anche i dati sul fronte del numero degli occupati (62,8%), con l’auspicio che non sia determinato da settori a scarsa produttività. Tasso di disoccupazione ai minimi (6%).

Un nostro problema, così come per l’Area Euro, è la crescita.  Per il vero, la nostra previsione di crescita nel 2025 (+0,5%) è inferiore a quella media dell’Eurozona (+1,2%). Non ci deve consolare se la Germania segna un dato peggiore del nostro, molte imprese dello stivale sono legate a doppio filo con l’industria tedesca. Per crescere occorre lavorare sulla competitività e produttività.

Sul fronte interno è ormai certo l’insuccesso di Industria 5.0, il pacchetto di provvedimenti (6.3 miliardi di euro stanziati) volto a favorire l’investimento delle Imprese. A fine giugno pare ne siano stati prenotati solo 600 milioni, anche la più rosea delle previsioni, qualora si concretizzi, si fermerà lontano dall’obiettivo.

Non ci resta che reagire, una reazione a livello europeo, occorre riparlare di debito comune come ai tempi dell’emergenza Covid e del Next generation Eu, altrimenti dove individuiamo le risorse necessarie se non a deterioramento di altri servizi primari (scuola, sanità ecc.)? Come allora siamo di fronte ad accadimenti straordinari, oggi la straordinarietà va individuata nella sfida globale, con tre protagonisti principali che non sembrano particolarmente disposti al dialogo: USA, Cina e Russia.

Reagire, auguriamoci non con una politica di indennizzi a pioggia, ma con una ridefinizione della politica industriale interna ed europea. Considerato che i prodotti dell’Unione e quelli dell’Italia sono particolarmente appetiti, siamo la seconda manifattura d’Europa, il sesto paese esportatore al mondo, quindi, vanno incentivati quei settori ad alto valore aggiunto, che più di altri creano ricchezza. Ricchezza non finalizzata a sé stessa, in mano a pochi, ma che deve essere reinvestita per crearne altra, in modo da favorire un aumento salariale e maggiori consumi, interni al paese e all’Unione europea. Con migliori salari si favorisce anche una redistribuzione della ricchezza. Urge più che mai un 6.0, questa volta auguriamoci un 6.0 Eu.  

SCARICA IL PDF DELL'ARTICOLO

[bws_pdfprint display=’pdf’]

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi gli ultimi articoli di Riparte l’Italia via email. Puoi cancellarti in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza utente.