Giuseppe Mauro, economista, editorialista, già professore di politica economica all’Università “G. d’Annunzio” Chieti – Pescara, parla con Riparte l’Italia.
I temi spaziano in un perimetro ampio, a cominciare dall’attuale politica economica degli Stati Uniti.
In che misura i dazi interagiscono con l’Unione Europea?
“Tutti gli organismi internazionali, che vanno dal Fondo Monetario Internazionale, alla Commissione Europea, all’Ocse, attraverso analisi riguardanti l’evoluzione del prodotto interno lordo e dei grandi aggregati macro-economici, hanno verificato che la politica dell’amministrazione americana determina sui mercati grande incertezza e grande insicurezza. Ciò potrebbe avere ripercussioni profonde sia dal punto di vista della Borsa, come già capitato nel momento in cui sono stati annunciati i dazi, sia dal lato della crescita economica per il futuro. Ad esempio, tutte le previsioni sul prodotto interno lordo sono riviste al ribasso. L’Italia non dovrebbe superare lo 0,7% per l’anno futuro e l’economia mondiale dovrebbe passare dal 3,2% al 2,7%. Ci sono quindi queste tendenze verso il ribasso, che possono essere anche più incisive in negativo per gli anni successivi. E questo è un primo filone.”
Professore, secondo una sua valutazione, l’Europa deve puntare su nuovi mercati ad Oriente, o rimanere incentrata sugli Stati Uniti e il mondo che gli ruota intorno?
“Il problema è proprio questo. Il rapporto economico che attualmente hanno l’Europa e gli Stati Uniti è abbastanza intenso. Siamo intorno ai 65 miliardi di scambi commerciali. Quindi sicuramente è un partner privilegiato. L’Italia, in questo rapporto, ha un surplus abbastanza consistente. Ed è quello che Trump afferma, quando dice che non c’è un bilanciamento tra le parti.”
La interrompo. Un bilanciamento è plausibile sempre in un’ottica di bisogno tra domanda e offerta, non si può puntare ad esso a prescindere.
“Infatti vi sono situazioni del passato che indicano come la politica dei dazi non ha determinato aspetti positivi sull’economia. Per una serie di motivi che a mio avviso andrebbero approfonditi. Il primo motivo è che questa politica potrebbe portare a un aumento dei prezzi nell’economia americana. Il secondo motivo meritevole di attenzione è il seguente: non è scontato che in assenza di manodopera possa portare a uno sviluppo della sfera manifatturiera negli Stati Uniti. Quindi è una soluzione particolare, che può ricadere sicuramente sull’Europa in quanto principale partner, ma anche su chi la propone. Il problema che si pone in questo momento è quello che sicuramente bisogna continuare a negoziare ed arrivare a un punto d’incontro, a un equilibrio. Ma credo che da parte dell’Europa sia necessario un duplice comportamento. In primo luogo, l’Europa ha un risparmio di 300 miliardi di euro delle famiglie, che dovrebbe completamente indirizzare in investimenti. Ciò in maniera tale da superare il divario di PIL che c’è tra Cina e Stati Uniti. Perché è bene dirlo: se noi guardiamo i dati dell’Europa, essa aveva sino a pochi anni fa un’incidenza sul PIL mondiale di circa il 25%, oggi è sceso al 17%. E per quanto riguarda gli interventi nel campo dell’intelligenza artificiale, è in gravissimo ritardo rispetto alle due potenze citate. Quindi l’Europa dovrebbe avere il coraggio di superare la politica dei 27 “piccoli stati”, dove ognuno pensa alla propria “coperta”, ed operare in base all’interesse comune. Credo che sia una prerogativa indispensabile, indipendentemente da tutto.”
Questa politica economica che propone Trump, potrebbe favorire per l’Europa una stimolazione a una maggiore aggregazione?
“Sono d’accordo con quello che lei dice. Tanto è vero che si sta verificando, al di là di pochi paesi – tipo l’Ungheria – una maggiore tensione coesiva. Si parla di eurobond, ovvero titoli da emettere per raccogliere una liquidità da investire sul sistema economico europeo. Quindi ribadisco, c’è questa tensione molto forte rispetto al passato. La stessa propulsione verificatasi, per esempio, nella pandemia.”
Storicamente parlando, come economista, ha mai riscontrato una situazione come quella attuale?
“No, mai. Ci fu un periodo in cui Reagan voleva attuare una politica similare, ma venne subito ritirata, anche per quanto riguarda la politica fiscale di ridurre le aliquote. Al di là di questo, non ricordo situazioni del genere.”
A suo avviso, professore, quella attuale è una tendenza unica e irripetibile, oppure per il futuro, con altre presidenze, potrebbe ripetersi all’interno del sistema americano?
“Molto dipende dagli equilibri politici che andranno a determinarsi. Comunque l’economia americana potrebbe anche essere rivista da una nuova presidenza, come è avvenuto spesso. In questo momento, quello che conta, è negoziare. Un secondo elemento è quello di ‘difendersi’, quindi di reagire. Un terzo aspetto, che vale per l’Europa ma soprattutto per l’Italia – e così rispondo alla sua domanda sui nuovi mercati – è quello di cominciare ad articolare il processo degli scambi con l’estero. Quindi nuovi mercati, ma non solo l’Oriente, quanto includere Argentina, Brasile e altri ampi bacini. Si tratta di non accentrare e commettere l’errore dell’Europa, che per avere il gas a prezzi più bassi, ha sacrificato in passato il mercato dell’energia.”
La politica economica americana, in questa fase può essere definita impulsiva, ma anche “immediata”. Nel senso della speditezza degli interventi.
“Infatti per i dazi, in economia, l’effetto annuncio è determinante. Al di là delle attuazioni. Perché l’annuncio determina già squilibri sui mercati.”
Le grandi imprese che agiscono su scala internazionale hanno risorse umane ed economiche per studiare strategie. La domanda che le pongo riguarda le piccole imprese. Non avendo gli stessi mezzi, come possono agire in un contesto così magmatico?
“Le piccole e medie imprese hanno il problema del reperimento delle risorse per affrontare le sfide del futuro. Mi riferisco alla digitalizzazione e all’innovazione integrale. Ora occorre riflettere su un nuovo aspetto che sta venendo fuori nel dibattito. Cioè che gli incentivi, sino ad ora, sono stati concessi alle grandi, medie e piccole imprese: per coprire i costi del lavoro e per coprire i costi del capitale. Quindi incentivi rivolti ai fattori produttivi. Credo che stia venendo fuori – e va approfondito – un nuovo intervento di politica economica, che è quello della copertura connessa all’instabilità e all’insicurezza del mercato.”
È l’ultima considerazione di questo colloquio. Ringraziamo quindi il professor Giuseppe Mauro, che tra l’altro è uno degli economisti più attenti alle problematiche economiche del Sud dell’Italia.