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Fallimenti da evitare | L’analisi di Angelo Panebianco

“Mutamento di regime, regime change? È davvero questo, oltre alla distruzione del suo potenziale nucleare, l’obiettivo di Israele nella guerra con l’Iran?”

Angelo Panebianco sul Corriere della Sera analizza i possibili scenari geopolitici con il conflitto in Iran.

“In Occidente – scrive l’editorialista – l’espressione regime change è stata a lungo associata all’idea che fosse possibile «esportare la democrazia» con la forza delle armi. Si può però anche usare l’espressione in modo neutro, senza presumere che il crollo di un regime dittatoriale debba necessariamente lasciare il posto a una democrazia. Cosa ci dice l’esperienza accumulata su come avvengono i mutamenti di regime, intesi come sostituzione di un regime politico con un altro quale che esso sia?

Di sicuro, sappiamo come tali mutamenti non avvengono: non avvengono (solo) a causa di un intervento militare esterno né (solo) a causa di manifestazioni di protesta interne.

Nel caso dell’Iran un regime come quello degli Ayatollah, usurato, delegittimato, difficilmente potrebbe oggi rafforzarsi a causa dell’attacco israeliano.

L’intervento esterno, e i pesanti costi che esso infligge al Paese, possono piuttosto favorirne l’ulteriore usura.

Assai difficilmente, però, ne causeranno il crollo e la sua sostituzione con un regime diverso.

Se l’intervento militare esterno (da solo) non può provocare il regime change – spiega Panebianco – non possono nemmeno riuscirci (da sole) le manifestazioni di protesta.

Le manifestazioni di piazza, per lo più, vengono represse nel sangue, punto e basta.

E allora, cosa può provocare un regime change?

L’esperienza accumulata dice che i regimi dittatoriali per lo più crollano quando si verifica una spaccatura, radicale e insanabile, all’interno delle classi dirigenti che li sostenevano.

La conclusione è che per capire se e quando il regime degli Ayatollah crollerà occorrerà, come da sempre fanno gli specialisti occidentali di quel Paese (sia gli studiosi indipendenti sia i servizi di intelligence), tenere d’occhio le eventuali crepe che si apriranno, se si apriranno, nei ranghi della sua classe dirigente.

Se e quando tali crepe si manifesteranno e se risulteranno sufficientemente larghe, allora forse assisteremo a un regime change.

Se è assai dubbio che l’azione militare di Israele possa provocare da sola il crollo del regime iraniano (a meno, per l’appunto, di divisioni forti entro la sua classe dirigente), può invece — questo sì — provocare un pesante ridimensionamento del suo ruolo internazionale, può comprometterne lo status di potenza regionale”.

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