Sui temi del lavoro – scrive Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera – il referendum che si terrà domenica e lunedì ha un netto sapore d’antico.
Ciò vale soprattutto per il primo quesito, che mira simbolicamente a “tornare allo Statuto”. A ripristinare cioè la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento giudicato illegittimo da un magistrato: una garanzia introdotta, appunto, più di mezzo secolo fa dallo Statuto dei Lavoratori (1970).
Il secondo quesito mira anch’esso ad allargare il ruolo dei giudici nella determinazione delle indennità di licenziamento nelle piccole imprese.
Il terzo è a sua volta rivolto a limitare il ricorso ai contratti a termine, oggi il principale canale d’inserimento lavorativo per i giovani, introducendo l’obbligo di una causale esplicita sin dai primi dodici mesi.
Nessuno nega che il mercato del lavoro italiano soffra di serie manchevolezze. Ma potendo essere solo abrogativo, il referendum promosso dai sindacati e dalla sinistra ha scelto temi che potessero essere “risolti” eliminando parti della legislazione vigente.
Trascurando il fatto che la strategia del ritaglio rischia di produrre alcuni paradossali peggioramenti.
La domanda cruciale da porsi è però questa: valeva davvero la pena di investire tante energie per tornare indietro?
Non era meglio formulare proposte concrete sulle grandi sfide che riguardano il futuro dell’economia europea e i loro effetti sull’occupazione?
Sfide che sono al centro dell’agenda sindacale (e più in generale progressista) europea.
Come sottolineato dai rapporti Letta e Draghi, senza un netto recupero di competitività l’economia europea è destinata a un significativo arretramento rispetto alla Cina e ad altre regioni emergenti.
A questo rischio si aggiungono le sfide della transizione energetica e della rivoluzione digitale (in particolare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale).
Le conseguenze per il mondo del lavoro saranno dirompenti.
Senza adeguate contromisure, l’occupazione (il suo livello, la sua qualità) rischia di essere la vittima sacrificale per rendere possibile la conciliazione fra competitività delle imprese e sostenibilità ambientale.