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Gli italiani e Trump | L’analisi di Nando Pagnoncelli

La seconda presidenza di Trump sta mettendo a dura prova i sismografi dell’opinione pubblica, non solo negli Stati Uniti — dove ha fatto scalpore la notizia che il presidente ha fatto registrare il più ampio calo di consenso a 100 giorni dall’insediamento rispetto ai suoi predecessori — ma anche negli altri Paesi europei e persino in Italia, dove la premier e uno dei vicepremier vantano una forte relazione con l’inquilino della Casa Bianca.

Ebbene, a inizio febbraio, dopo poche settimane dall’insediamento, solo poco più di un italiano su quattro (28%) esprimeva un giudizio positivo su Trump, a fronte della maggioranza assoluta (52%) di connazionali che lo giudicavano negativamente, in larga misura perché, al di là dello stile comunicativo tonitruante che può piacere o meno, destavano preoccupazioni le conseguenze economiche dei diversi proclami del presidente.

Non a caso, a fine aprile, dopo il pluri-modificato “editto” sui dazi, coloro che si esprimevano negativamente su Trump sono saliti al 69%. E anche tra gli elettori dei partiti della maggioranza non mancavano i contrari a Trump: in particolare, leghisti ed elettori di Fratelli d’Italia erano divisi quasi a metà, mentre tra quelli di Forza Italia prevalevano nettamente i contrari.

Un aumento di ben 17 punti rispetto a febbraio non può essere attribuito solo ai dazi e alle conseguenti previsioni di peggioramento dello scenario economico, che già ora desta elevata preoccupazione. Le motivazioni sono riconducibili allo sconcerto determinato nell’opinione pubblica dalla infinita serie di annunci — dall’annessione del Canada e della Groenlandia, a Gaza Resort, all’insistita rivendicazione di un ruolo decisivo per porre fine ai conflitti in essere — che non si capisce bene se corrispondano a reali intenzioni o se si tratti di spacconate da Rodomonte.

In Italia eravamo abituati a considerare gli Stati Uniti, indipendentemente dal colore dell’amministrazione, un punto di riferimento solido. Oggi, al contrario, tutto sembra messo in discussione: vengono meno le certezze (tra le quali la “protezione” militare) e si diffonde il disorientamento, in un decennio nel quale abbiamo dovuto fare già i conti con diverse vulnerabilità che ci hanno colto di sorpresa: dalla pandemia, alla crisi energetica, al ritorno dell’inflazione, ai conflitti alle porte dell’Europa.

Un’ultima questione: tenuto conto dell’impopolarità di Trump nel nostro Paese, conviene a Giorgia Meloni mostrarsi così vicina al presidente statunitense, vantando un rapporto speciale? La “proprietà transitiva” non sembra funzionare nella formazione delle opinioni, almeno in questo caso.

La relazione privilegiata con Trump rappresenta, agli occhi soprattutto degli elettori di FDI e Lega, una garanzia di poter attenuare la portata delle conseguenze negative della politica trumpiana, come se la premier fosse in grado di ridurre Trump a più miti consigli.

Difficile dire se l’apprezzamento della premier in tal senso sia destinato a durare perché, come sempre, un conto è la narrazione, un altro sono i risultati.

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