Non fa bene all’Europa – osserva sul Corriere della Sera Angelo Panebianco – la mancanza di realismo con cui troppo spesso i temi continentali vengono presentati al grande pubblico.
Siamo stretti fra le bugie degli anti-europeisti che, in giro per l’Europa, promettono nuove età dell’oro se solo ci si disferà della “dittatura” di Bruxelles (come no? Ne sanno qualcosa i britannici) e il wishful thinking — che significa scambiare i propri sogni per realtà — di tanti europeisti.
Serve un europeismo maturo, realista, che non spacci l’Europa per un pranzo di gala. Un europeismo maturo, consapevole degli ostacoli e dei problemi. Consapevole, ad esempio, che l’Unione sia una costruzione che ha imposto forme di dirigismo, di cui non c’era affatto necessità, in tanti ambiti (era la sacrosanta critica della Gran Bretagna quando era ancora membro dell’Unione) e che bisognerebbe correre ai ripari.
Ancora: serve un europeismo che non finga di non vedere che l’Unione è una arena competitiva ove coesistono accettazione dei vincoli di interdipendenza fra i Paesi dell’Unione e costanti tentativi da parte dei vari governi di imporre il proprio interesse a scapito degli interessi altrui.
La Germania lo ha fatto per parecchio tempo con successo. E non c’è Paese europeo che, a sua volta, se e quando può, non ci provi.
E infine: serve un europeismo che, quando invoca l’unità politica, non immagini un “governo” (democratico) dell’Europa in tutto e per tutto simile ai governi nazionali.
Una cosa del genere non ci sarà nel prossimo futuro e forse non ci sarà mai.
Anche se (irrealisticamente) decidiamo di ignorare il peso e la forza delle differenti tradizioni nazionali, è sufficiente immaginare cosa passerebbe per la testa di un povero elettore europeo chiamato a scegliere fra candidati che parlino una lingua diversa dalla sua.
Per capire cosa dicano e propongano avrebbe bisogno dell’interprete.
Come potrebbe mai funzionare una simile democrazia su scala continentale?








