Da qualche tempo si dibatte di un video in cui Elon Musk definisce l’empatia come il punto debole della civilizzazione occidentale. Quello che Musk probabilmente voleva stigmatizzare è la tendenza della cultura occidentale a colpevolizzarsi per ogni misfatto compiuto in passato, e ce ne sono ovviamente moltissimi come in tutta la storia dell’uomo.
Lo stesso concetto di civilizzazione occidentale è dubbio, ma è invece indubbio che nessuna delle civiltà del passato si è interrogata così ossessivamente sul suo passato, e con tali sensi di colpa.
Quando penso a questo aspetto del modo di pensare degli occidentali, mi viene sempre in mente la fotografia della folla che accolse il Mahatma Gandhi in uno dei suoi viaggi a Londra durante la lotta per l’indipendenza (nel 1931). Una parte importante dell’opinione pubblica inglese si schierò con passione dalla parte del Mahatma, che però non ricambiò l’interesse con altrettanto entusiasmo.
A un giornalista che gli chiese cosa ne pensasse della civiltà occidentale rispose che l’idea di fondarne una sarebbe stata ottima. In compenso apprezzò di Mussolini “l’amore appassionato per il suo popolo”, per quanto attuato con “costrizione”.
Oggi quasi ogni grande città occidentale ha una strada che ricorda e celebra il Mahatma.
Lasciando da parte l’aneddotica, è innegabile che l’empatia è una parte insostituibile del nostro modo di pensare (ma evidentemente non di Trump e Musk).
Sia i messaggi fondamentali del Cristianesimo, che quelli di parte preponderante della filosofia occidentale (di nuovo senza pensare a monoliti inesistenti), non possono prescindere da questo concetto.
Anche le basi dell’economia, la più occidentale delle scienze sociali, sono fondate sull’empatia e spesso fraintese. Adam Smith, il padre dell’economia moderna, infatti, viene sovente accusato di essere anche il padre di una visione ultra-cinica del funzionamento economico delle società, secondo la quale il massimo benessere deriva dal perseguimento senza regole dell’interesse personale.
Ma una lettura integrata dell’opera di Smith conduce a conclusioni opposte.
Pur essendo vero che la concorrenza porta alla soddisfazione massima dei consumatori, Smith riteneva che le basi per un commercio sano e concorrenziale fossero di natura morale, e che senza queste basi la concorrenza degenerasse in corruzione.
E per Smith la virtù morale per eccellenza è l’empatia perché tutti gli altri “sentimenti morali” possono essere sviluppati dall’empatia.
Quindi la condizione per cui le società possano svilupparsi è l’esistenza di un minimo di empatia che, attraverso la fiducia, rende le transazioni possibili e fruttuose per le parti.
E sono proprio le società caratterizzate da maggiore empatia quelle in cui gli scambi possono dispiegare tutti i loro effetti benefici sulla crescita.
Se crediamo a Smith la fonte ultima del grande sviluppo dei paesi europei, poi trasmesso a gran parte del mondo attraverso le successive ondate di globalizzazione, sarebbe (anche) l’empatia che rende possibili gli scambi.
Una miriade di studi recenti conferma su varie scale che la performance economica ha un rapporto fortissimo col grado di fiducia tra individui e nel sistema di regole di ogni società.
L’idea quindi che l’empatia sia un punto debole della nostra civiltà, effettivamente si colloca interamente al di fuori della nostra tradizione di pensiero che si tratti di cristiana, liberale e certamente anche socialista.
È invece un’affermazione che troverebbe concordi tutti gli autocrati di ogni parte del mondo, ad esempio.
A questo punto dobbiamo chiederci cosa ha reso il nostro modello tanto vulnerabile che il centro del sistema ha ceduto.








