“Mentre il Medio Oriente è in ebollizione, dalla Palestina alla Siria, passando per la minaccia houthi nel Mar Rosso e per la tentazione di Israele di colpire gli impianti nucleari dell’Iran, Donald Trump dedica il primo viaggio del suo secondo mandato a tre Paesi del Golfo in un’ottica soprattutto di business. E lo rivendica”.
Lo scrive Massimo Gaggi sul Corriere della Sera: “Dobbiamo rassegnarci, dalle miniere ucraine al Medio Oriente, a una politica estera trasformata in diplomazia commerciale? Si può restare attoniti davanti alla disarmante naturalezza con la quale Donald Trump mette gli affari davanti a tutto, ma, prima di condannare, meglio analizzare e distinguere tra le operazioni commerciali che hanno anche un risvolto politico e affari invece concepiti nell’unico interesse personale di Trump e della sua famiglia.
Insomma, entro certi limiti anche una diplomazia basata su fattori commerciali può avere una sua rilevanza politica. E, comunque – aggiunge – i governi hanno sempre usato le relazioni internazionali anche a questi fini. Ma Trump non sta semplicemente sostituendo la globalizzazione col suo neomercantilismo. Fa affari giganteschi per sé stesso e per la sua famiglia con le Trump Tower che sorgeranno nel Golfo, hotel e golf resort e, soprattutto, con le criptovalute: le considerava truffaldine e una minaccia per il dollaro ma, fulminato insieme ai figli sulla via dei cryptoguru della Silicon Valley, fondi e affari che vanno ad arricchire i Trump in apparente contrasto con la Costituzione che vieta al presidente di ricevere emolumenti dall’estero.
Al di là delle questioni etiche, comunque di grande rilevanza, queste azioni e tutte le altre iniziative di Trump che indeboliscono il rule of law, così come i dazi messi e tolti con logiche da partita a poker e con intenti punitivi, finiscono per minare la credibilità degli Stati Uniti come partner politico e militare e anche come rifugio sicuro per il risparmio mondiale.
Fin qui la forza del dollaro si è basata, oltre che sulle baionette, sulle garanzie legali e su un mercato libero e mercato aperto, senza limiti o rischi di penalizzazioni o confische da regime autocratico. Con la mancanza di certezze Trump rischia di bloccare gli investitori. Col suo autoritarismo – conclude l’editorialista – può minare il dollaro e l’appetibilità dei titoli del Tesoro rendendo assai più oneroso il finanziamento del debito pubblico americano”.








