Per una volta, l’Europa lascia a casa i panni di grande malato del mondo occidentale.
Nei primi tre mesi del 2025, il Vecchio Continente ha fatto quello che per molto tempo è sembrato impossibile: è cresciuto più delle attese, ha tenuto più di quanto ci si aspettasse e ha fatto meglio degli Stati Uniti.
A certificarlo sono i dati Eurostat.
Il Pil dell’Eurozona è cresciuto dello 0,3% nel primo trimestre, stesso ritmo per l’intera Unione Europea.
Gli USA? Inaspettatamente in calo: -0,1%, un brusco stop dopo il +0,6% del trimestre precedente.
L’eccezione stavolta è a stelle e strisce, e l’Europa – solitamente fanalino di coda – si ritrova, quasi per caso, con un ruolo da protagonista.
È una buona notizia. Ed è bene sottolinearlo, in un contesto dove l’Eurozona, da troppo tempo, si muove tra bassa crescita, stagnazione demografica e incubi geopolitici.
Nel dettaglio, rispetto allo stesso trimestre del 2024, il Pil dell’area euro è cresciuto dell’1,2%; per l’intera UE l’aumento è stato dell’1,4%.
Non sono numeri da boom, ma segnalano una tendenza in consolidamento, e soprattutto mettono in discussione la narrativa ormai logora secondo cui l’Europa è destinata a inseguire.
Il traino arriva da dove meno te lo aspetti.
L’Irlanda, spesso sottovalutata, segna un clamoroso +3,2% nel trimestre.
Cipro avanza dell’1,3%, mentre Spagna e Lituania seguono con +0,6%.
Tra le grandi economie, l’Italia sorprende con un +0,3%, davanti a Germania (+0,2%) e Francia (+0,1%).
Ancora in difficoltà invece Slovenia, Portogallo e Ungheria, tutte in contrazione.
Ma il dato che ha fatto sobbalzare gli analisti è quello della produzione industriale.
A marzo un balzo del +2,6% nell’Eurozona rispetto a febbraio e del +3,6% su base annua.
È la crescita più forte da prima della pandemia, superiore perfino alle più rosee previsioni (il consensus era al +2,5%).
Nell’UE, il dato si ferma a +1,9% mensile, comunque ben sopra le medie.
Qui la geografia industriale diventa quasi surreale.
Su base annuale l’Irlanda vola al +50,2%, Malta e Lituania segnano +10,1% e +7,8%.
In coda ci sono Bulgaria, Romania e Danimarca, con cali vistosi.
L’Italia è indietro: +0,1%.
Allora tutto bene: la nottata è passata?
La risposta, purtroppo, è negativa.
A raffreddare l’entusiasmo ci pensano gli analisti del colosso olandese ING, secondo cui il boom industriale di marzo è stato drogato da un’impennata dell’export farmaceutico verso gli USA.
Il motivo? L’imminente entrata in vigore dei dazi voluti da Donald Trump.
Le aziende europee – soprattutto irlandesi e tedesche – hanno accelerato le spedizioni per anticipare le nuove barriere commerciali.
Non è dunque una ripresa organica, ma una corsa contro il tempo.
Gli stessi dati delle dogane USA mostrano un’impennata delle importazioni di farmaci nei mesi recenti, a conferma che il fenomeno è reale ma passeggero.
“Prevediamo che l’indebolimento della domanda di prodotti europei tornerà presto a essere un tema dominante”, scrivono gli economisti di ING.
“Nonostante la fiammata, non riteniamo sostenibile la ripresa manifatturiera. È probabile che si torni a una dinamica più debole una volta normalizzate le scorte e definiti i nuovi assetti tariffari”.
Un altro piccolo segnale positivo arriva dal fronte occupazionale.
Nel primo trimestre, il numero di occupati è cresciuto dello 0,3% nell’area euro e dello 0,2% nell’intera UE.
Su base annua, la crescita si attesta allo 0,8% nell’Eurozona e allo 0,6% nell’UE.
Non sono numeri clamorosi, ma confermano una ripresa lenta ma presente, che, se consolidata, potrebbe dare slancio alla domanda interna, vera grande assente degli ultimi anni.
Dall’altra parte dell’Atlantico, il quadro è più opaco.
La contrazione dello 0,1% del Pil statunitense nel primo trimestre è un campanello d’allarme, anche se non necessariamente il preludio a una recessione.
Su base annua, l’economia americana cresce ancora del 2,0%, ma in calo rispetto al +2,5% del trimestre precedente.
La stretta monetaria, l’inflazione persistente e il ritorno dei dazi stanno comprimendo la dinamica interna.
Il rischio è che la locomotiva americana – troppo carica, troppo veloce – stia ora pagando l’eccesso di crescita post-pandemica.
L’Europa, invece, con il suo passo lento, potrebbe guadagnare un po’ di terreno. Ironia della storia.
Che fare, allora?
La crescita dell’Eurozona non è miracolosa, né strutturale.
È fragile, esposta agli shock esterni, e diseguale tra Paesi. Ma c’è.
E arriva nonostante le incertezze globali, la guerra in Ucraina, il rialzo dei tassi della Bce e una politica industriale ancora tutta da costruire.
È il momento per Bruxelles e le capitali europee di non disperdere questa occasione.
Serve stabilizzare i segnali di ripresa: sostenere l’occupazione, stimolare gli investimenti produttivi, e non spegnere sul nascere il timido ritorno dell’industria.
Perché una ripresa occasionale è buona, ma una crescita duratura è tutta un’altra cosa.








