Alessandro Arduino sulla Stampa analizza i nuovi scenari geopolitici che si stanno delineando tra Usa, Cina e Medio Oriente: “Il presidente americano Donald Trump – scrive l’editorialista – torna nel Golfo questa settimana, con tappe previste a Riad, Doha e Abu Dhabi, un viaggio che richiama la sua prima missione internazionale del 2017, oggi con la promessa di 600 miliardi da parte dei sauditi.
Ma stavolta, la visita si inserisce in un contesto geopolitico profondamente mutato, dove la crescente influenza della Cina nella regione rischia di entrare in rotta di collisione con le ambizioni del tycoon.
Se ieri il palcoscenico era dominato dagli Stati Uniti, oggi una nuova figura è uscita da dietro le quinte: la Cina.
Pechino da anni agisce senza eccessivo clamore mediatico, costruisce infrastrutture, stringe accordi, offre tecnologie per la sicurezza che non fanno domande e non impongono valori.
È un potere silenzioso, amministrativo, fatto di connessioni digitali ed AI, sviluppo urbano smart e soprattutto trasferimenti di tecnologia.
E ora, quel potere sfiora e talvolta urta le ambizioni teatrali di Trump.
Trump, fedele a sé stesso, non offre una grande strategia a lungo termine ma cifre.
Alla proposta saudita di 600 miliardi di dollari risponde con una richiesta di mille miliardi.
Allo stesso tempo – sottolinea Arduino – sia l’Arabia Saudita che gli Emirati Arabi Uniti spingono per ottenere certezze se Washington resterà la colonna portante della sicurezza nella regione.
A garantirlo, secondo le aspettative del Golfo, dovrebbero essere anche nuovi e massicci trasferimenti di armamenti ad alta tecnologia americani.
Negli ultimi dieci anni i rapporti tra Cina e mondo arabo si sono intensificati e la visita di Xi Jinping a Riyad nel 2022 ne è stata una riprova.
Il petrolio è il punto di partenza: un quinto del greggio cinese viene dall’Arabia Saudita, quasi il doppio dall’intero Golfo.
E in mezzo a tutto questo, Trump. Un uomo che parla di affari mentre il mondo ridefinisce equilibri, e le monarchie del Golfo sono posizionate al meglio per parlare la stessa lingua del tycoon.
La regione è diventata la plancia dove si muovono non solo capitali e contratti, ma algoritmi, dati, e apparenze di alleanze.
È qui – conclude – che Cina e Stati Uniti si osservano e si preparano a uno scontro silenzioso, ma destinato a decidere i futuri equilibri della regione”.