Giuseppe Coco, economista, è intervenuto in qualità di relatore all’evento Sud Chiama Europa, organizzato a Napoli il 9 maggio 2025 dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia e patrocinato dal Comune di Napoli.
Il professor Coco ha portato la sua testimonianza nel panel “La sfida dell’export“, moderato dalla giornalista de Il Sole 24 ore, Vera Viola.
L’iniziativa nasce con l’idea appunto di discutere della collocazione del mezzogiorno all’interno dell’Unione Europea, della nostra necessaria proiezione, diciamo così, verso l’Unione Europea come parte integrante. E quindi ragionare da europei, però con la coscienza delle enormi risorse che abbiamo a disposizione nel mezzogiorno, in parte certamente inespresse, e ragionare nei termini, chiamiamoli così, tecnici migliori possibili, con le migliori intelligenze del mezzogiorno, anche del resto del Paese, su come realizzare queste potenzialità come territorio integrale dell’Unione Europea.
C’è anche un problema di consapevolezza del Sud, una questione di percezione di alcuni svantaggi, diciamo così, non perché non esistano ovviamente alcuni svantaggi oggettivi, ma c’è una percezione, in alcuni casi, esagerata di questi svantaggi e quindi anche dell’inabilità, dell’incapacità di sovrastare questi svantaggi.
Il caso, a mio parere, più clamoroso è quello di Taranto, no, che viene dipinto addirittura anche nel, anche, insomma, diciamo così, nella cinematografia come una specie di deserto radiattivo e così via. Ma andate a vedere che cos’è Taranto. È una città bellissima, insomma, con anche lì delle potenzialità, sia turistiche, delle attrazioni, insomma, diciamo, ha una storia straordinaria, insomma, un museo unico al mondo e l’Ilva, insomma, che è comunque una realtà produttiva importante, molto lontana dalla città, in grande impatto reale, se non nell’idea, nell’immaginario, diciamo così, della città.
Secondo me bisogna riflettere a lungo, bisogna che alcune e alcuni imprenditori e politici che hanno puntato molto sul disastro devono riflettere a lungo, diciamo così, sulla, su quanto sia stato realmente conveniente, insomma, anche per la città stessa, spingere questa retorica, diciamo così, del disastro. È un discorso più generale, però, che vale per molte parti del mezzogiorno, che non sono poi quei deserti produttivi che vengono dipinti, che hanno delle realtà produttive spesso importanti e che, nelle quali però, appunto, tra gli altri fattori, certamente, pesa anche una questione di percezione e una retorica insomma, diciamo così, della necessità dell’aiuto costante, che non aiuta.
L’export del mezzogiorno ha vissuto una stagione molto felice negli ultimi anni, ecco, insomma, diciamo, dopodiché oggi siamo in una fase già difficoltosa dall’anno scorso, insomma, noi abbiamo avuto dei tassi di crescita, in alcune regioni del mezzogiorno, addirittura strepitose nelle isole, in particolare Sicilia e Sardegna, abbiamo visto tassi di crescita dell’export nell’ordine del 50%, insomma, diciamo, in un anno, nel 2022. Oggi siamo già in una fase un po’ più difficile, che riflette dei fattori strutturali e forse un anticipo della nuova stagione, diciamo così, di relazioni commerciali molto molto più difficili di quelle della stagione, chiamiamola così, neoliberista, che abbiamo attraversato, insomma, per alcuni decenni. Il mezzogiorno può sopravvivere a questa stagione e consolidare alcuni guadagni che erano stati raggiunti, alcuni traguardi che erano stati raggiunti negli anni passati.
Ma, ovviamente, questo sconta che, da un lato la deriva protezionistica venga in qualche maniera arginata. E dobbiamo essere consci che, diciamo, un argine può venire solo da un confronto serio nel quale anche qui, tornando al tema del del convegno, il nostro ruolo è necessariamente, insomma, diciamo, il ruolo proprio che abbiamo all’interno dell’Unione Europea. Cioè, dobbiamo convincerci di giocare un ruolo attivo nelle istituzioni europee, anche nella partita dei Dazi e quindi sostenere convintamente le iniziative della Commissione, che tecnicamente sono del tutto adeguati, anche per influenzarle nel momento in cui si deciderà una strategia di risposta all’amministrazione Trump.
Perché il grosso pericolo per il Mezzogiorno non è nell’immediato, non è nel calo temporaneo, probabilmente, delle esportazioni verso gli Stati Uniti. È un periodo di lungo periodo che riguarda gli investimenti. Se noi guardiamo a quali sono gli investimenti che, quali sono le esportazioni che hanno sofferto di più, il settore è chiaro, è l’automotive, ma ci dobbiamo chiedere, se noi fossimo l’amministratore delegato di Stellantis, in un momento in cui effettivamente nasce questa simmetria, in cui il mercato più, già adesso, più ricco, che sono gli Stati Uniti, poi è accessibile solo con dei dazi del 20% e non c’è una reazione da parte nostra, insomma, diciamo così.
Le fabbriche di Melfi e di Pomigliano d’Arco, le terrestri in piedi, insomma, diciamo così. Ecco, se io fossi l’amministratore delegato di Stellantis, probabilmente accelererei un processo che era, peraltro, già in corso. Quindi la nostra risposta lì deve essere convinta, mettiamola così, può essere solo comunitaria ed è a livello comunitario che dobbiamo partecipare attivamente ai processi, in maniera tale che la risposta sia quella che tenga il più possibile conto dei nostri interessi, come Mezzogiorno, come Italia, ovviamente, ma i nostri interessi per l’industria meridionale.








