Il mondo politico attende con una certa apprensione l’imminente insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, che potrebbe segnare tra l’altro una significativa svolta nel conflitto ucraino. Il neo Presidente americano, in campagna elettorale, aveva promesso di porre fine alla guerra in Ucraina entro 24 ore, ma nulla lascia intendere che Putin, almeno per il momento, sia pronto al negoziato.
Il neo-consigliere statunitense per la sicurezza nazionale, Walz, ha dichiarato che sono già in corso i preparativi per un incontro tra Trump e Putin, che potrebbe essere cruciale per esplorare possibili vie di risoluzione, ma al momento non ci sono conferme del Cremlino.
Trump ha lasciato trapelare un piano di pace che prevede un congelamento del conflitto sulla linea attuale del fronte, il dispiegamento lungo il confine di una forza di interposizione fornita soprattutto dagli europei e un impegno a rinviare di vent’anni l’entrata dell’Ucraina nella NATO.
La proposta include parallelamente la fornitura di assistenza militare a Kiev, destinata a prevenire future aggressioni. Tuttavia, le reazioni russe a queste proposte, definite “insoddisfacenti” dal portavoce del Cremlino, non sono state favorevoli.
Confidando sulla situazione favorevole sul campo, Putin è determinato a ottenere non solo l’annessione delle 4 province del Donbass, ancora parzialmente controllate da Kiev, ma anche la completa smilitarizzazione dell’Ucraina e la sua neutralità.
In altri termini, una sorte di “finlandizzazione” di sovietica memoria, che rimanda al periodo della Guerra Fredda. Putin inoltre sembra non voler riconoscere come suo interlocutore il presidente ucraino Zelensky che considera delegittimato, in quanto il suo mandato è scaduto e si rifiuta di indire nuove elezioni, il che complica ulteriormente il già delicato panorama politico.
Dall’altra parte, Kiev sembra disposta a rinunciare a parte dei territori occupati, ma insiste sulle garanzie di sicurezza, che possano concretizzarsi soltanto attraverso l’ingresso nella NATO. In tale contesto, il conflitto appare destinato a protrarsi fino a quando entrambe le parti non avranno maturato la convinzione che la situazione militare sul terreno non è più modificabile. Solo allora potrebbe emergere la possibilità di un compromesso.
Una delle soluzioni più volte richiamata rimanda al precedente coreano, con il congelamento del conflitto lungo la linea del fronte, accompagnato da garanzie militari fornite dagli USA e altri Paesi europei all’Ucraina per fronteggiare eventuali nuove aggressioni russe. È evidente che la strada verso la pace è irta di ostacoli, ma l’interesse internazionale e la pressione per una risoluzione del conflitto possono fornire un contesto propizio al dialogo.
In conclusione, l’insediamento di Trump potrebbe rappresentare un’opportunità per riconsiderare le dinamiche del conflitto ucraino, ma richiede una volontà politica da entrambe le parti e un impegno concreto della comunità internazionale.
Solo nelle prossime settimane sapremo se i piani delineati porteranno a un cambiamento reale o se, invece, ci troveremo di fronte a una nuova fase di stallo nel conflitto. Intanto verbalmente i toni salgono da una parte e dall’altra, con Trump che rivendica la Groenlandia e Panama, la Lituania che chiede la restituzione di Kaliningrad e il Cremlino che sostiene che i Paesi baltici devono tornare alla Russia.








