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Non basta l’aspirina, la Bce deve osare di più con il taglio dei tassi | L’analisi di Angelo De Mattia

Oggi a Roma, domani alla Banca centrale di Slovenia: governo da un lato, Bce dall’altro con il suo consiglio che si riunisce fuori sede.

Oggi probabilmente potremo analizzare le decisioni del Consiglio dei ministri della nottata scorsa, con particolare riferimento alla soluzione che sarà stata trovata (o sarà stata solo avviata) a proposito del ddl di Bilancio e del decreto fiscale, relativamente al contributo, che fino a qualche giorno fa è stato definito “volontario”, a carico delle banche per un ammontare che si aggirerebbe sui 4 miliardi cumulativamente per due anni.

Nei giorni scorsi si sono ipotizzate misure sulle imposte differite e/o sulle stock option ovvero ancora, genericamente, sulla fornitura di liquidità al Tesoro, escludendosi in ogni caso addizionali varie.

Il sentiero è stretto tra necessità dello Stato e possibili rilievi di incostituzionalità se la misura non viene adeguatamente configurata.

Naturalmente il contributo volontario (una tantum? Lo vedremo) riguarda anche altri settori che hanno visto crescere in maniera eccezionale gli utili – se questa è la base della cosiddetta volontarietà dell’erogazione – a partire da quelli dell’energia e finanziari in genere.

Anche in questo caso un’eventuale lesione della par condicio non tarderebbe a essere impugnata in sede giurisdizionale e costituzionale.

Oggi si potrà altresì approfondire la frase, frequentemente ripetuta da esponenti del governo, secondo cui non vi saranno nuove tasse (o non si aumenteranno le tasse vigenti) per le persone fisiche e per le imprese.

Dunque nessun aumento in generale, non essendoci altri contribuenti oltre all’endiade citata, a meno che non si giochi con le parole e si tassino beni comunque riconducibili a persone e aziende.

Naturalmente sarà necessaria una valutazione d’insieme della manovra anche sulla base del Documento Programmatico di Bilancio, mentre il debito, aumentato ad agosto di circa 12 miliardi, come comunicato dalla Banca d’Italia, è ormai in prossimità dei 3 mila miliardi (2.962,5).

Quanto al direttivo della Bce, si può attendere un taglio di 25 punti del tasso sui depositi (ora al 3,5%) che guida l’azione di politica monetaria.

Le previsioni del 90% degli economisti sono concordi in questo senso.

I governatori più loquaci sono sostenitori di un taglio; lo sarebbe anche il capo dei falchi, il presidente della Bundesbank Joachim Nagel, sulla cui posizione verosimilmente influisce la recessione tedesca, quasi come una sveglia.

La presidente Christine Lagarde non si è espressa chiaramente ma non sembra contraria a una riduzione.

Il fatto è che si concorderebbe sui 25 punti, ma per ora apertamente nessuno ha sostenuto di fare di più, tagliando 50 punti, come sarebbe opportuno, visto il progressivo avvicinarsi dell’inflazione al target del 2% mentre per i mesi iniziali del 2025 si stima che l’inflazione si collocherà sotto il 2%.

Continuare con il mini-taglio di 25 punti base e senza una prospettiva chiara per i prossimi mesi, dato il ripudio della “forward guidance” (imperando le decisioni “riunione per riunione”), sarebbe un agire con l’aspirina, mentre occorrono gli antibiotici, visto il persistente carattere asfittico della crescita.

Un taglio più consistente – insieme con un raccordo tra politica monetaria e Vigilanza bancaria – sarebbe anche un modo per meglio coordinarsi con le politiche economiche e di finanza pubblica varate con le manovre finanziarie dai partner europei, ovviamente inclusa l’Italia.

Torna qui la necessità che il governo della moneta agisca d’anticipo, operi sulle aspettative e non si limiti a reagire, “a buoi ormai fuggiti dalla stalla”, come purtroppo è accaduto, per grave colpa, quando l’inflazione cresceva.

Non bisogna mai dimenticare che, raggiunto il target, scatta l’obbligo per la Bce, sancito dal Trattato Ue, di sostenere le politiche economiche nell’area.

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