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Che cosa deve fare il governo per chiedere sacrifici a banche e imprese | L’analisi di Angelo De Mattia

La parola sacrifici torna a farsi sentire nelle dichiarazioni politiche.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, con una dichiarazione che ha subito provocato una caduta della borsa, ha parlato, in previsione della formazione legge di bilancio, di uno sforzo, in termini di risorse, che l’intero Paese deve sostenere.

A questo fine ha citato l’articolo 53 della Costituzione sul contributo che ciascuno è chiamato a dare in base alla propria capacità, anche se non ha richiamato la progressività che probabilmente nuocerebbe alla flat tax e al condono per le partite Iva.

Ci si è poi concentrati, anche da parte del Mef, per la previsione del contributo in questione che non si vuole qualificare tassa, su banche, assicurazioni, imprese dell’energia, della difesa, in generale grandi aziende che hanno conseguito alti profitti.

Di qui sono poi partite smentite e aggiustamenti da parte del Tesoro, cominciando con l’escludere che si intenda tassare con una nuova imposta anche le persone fisiche, mentre rimane ancora incerta la misura alla quale si sta pensando – se contributo una tantum o vera e propria tassa – e quale sia il suo perimetro.

Le cronache hanno poi riferito di asseriti, ma non confermati, fastidi e incomprensioni di Palazzo Chigi.

Giorgetti, intervenendo nel raduno della Lega a Pontida, ha tenuto a distinguere allusivamente tra chi fa i sacrifici e chi li deve fare, mentre Salvini ha chiamato in ballo i banchieri.

Strettamente connessa è la questione della legittimità costituzionale di un tale prelievo che molto dipende dalla sua configurazione giuridica e dalle modalità di attuazione.

La prima osservazione riguarda il metodo: come si può pensare di lanciare in un convegno l’ipotesi, raffazzonata, di una tale misura senza mettere in conto la confusione che ne sarebbe scaturita e gli impatti di mercato? E ciò al di là del merito.

D’altro canto, nell’imminenza della presentazione della Legge di Bilancio e dell’esame da parte di Bruxelles del Psb, sbandierando in maniera estemporanea l’ipotesi in questione, non si rischia di presentare il Tesoro con l’acqua alla gola nel reperimento di nuove risorse con tutte le conseguenze per mercati, risparmiatori, operatori?

Sarebbe stato doveroso affrontare per tempo, con tutti gli approfondimenti necessari e gli opportuni coinvolgimenti, la eventuale predisposizione di una misura del genere.

I sacrifici fecero il loro ingresso nel confronto politico e sociale con la svolta dell’Eur promossa dal leader della Cgil Luciano Lama nel 1975.

La proposta si fondava su un piano organico di rilancio del Paese che aveva subito lo shock petrolifero e già allora mostrava il bisogno di riforme strutturali, mentre i capitali fuggivano all’estero, i mercati erano instabili e qualche caveat iniziava a manifestarsi per la spesa pubblica.

Si mirava a coinvolgere istituzioni, parti politiche e parti sociali.

Insomma, comunque giudicata, aveva l’ambizione di una svolta, non era un’idea buttata là.

Il progetto non fu accolto nel Paese, ma fu un passaggio importante per almeno far conoscere gli stringenti nodi economici, cosa che negli anni successivi portò poi al governo di unità nazionale.

La strada maestra da imboccare quando si fa riferimento a forme di prelievo dovrebbe essere quella non di interventi spot ma del loro inquadramento in una revisione organica – data anche la coincidenza della riforma fiscale – che consenta di verificare come si distribuiscono gli oneri, quali le finalità redistributive, come ci si collega con altre misure, queste di carattere sociale.

Soprattutto, deve essere chiaro, se lo Stato in una particolare fase pretende di avere di più dai cittadini, che si compia ogni sforzo nell’agire contro evasione ed elusione e che si escludano forme mascherate di condono o di sanatorie che spesso confinano con vere e proprie amnistie danneggiando la fiducia nella legge e di fatto inducendo a ripetere l’evasione – tanto un nuovo condono ci sarà sicuramente – e così provocando un calo del gettito negli esercizi successivi a quello dell’indulgenza.

I problemi arrivano a toccare il ruolo della mano pubblica, del mercato e delle imprese.

E si dovrebbe immaginare che anche questi aspetti siano stati valutati dal Mef prima di prodursi nella pur insoddisfacente comunicazione.

Insomma, correzioni essenziali sono necessarie.

Se si assumono misure straordinarie, occorre anche una straordinarietà di impegni perché esse siano ben motivate, eque e giuridicamente inattaccabili.

E poi richiedono un esteso consenso politico e sociale.

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