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Ecco le 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo | L’analisi dell’Istat

Sintesi_Noi-Italia_2025

La piattaforma web Noi Italia – 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo contiene una selezione di indicatori per conoscere i diversi fenomeni dell’Italia (demografici, economici, sociali e ambientali), le differenze regionali che la caratterizzano e la sua collocazione nel contesto europeo.

L’offerta informativa è organizzata in sei aree tematiche (Popolazione e società, Istruzione e lavoro, Salute e welfare, Industria e servizi, Ambiente e agricoltura, Economia e finanza pubblica), articolate in diciannove settori. Ogni settore è corredato da: sintesi descrittive sull’andamento dei fenomeni e sulle differenze territoriali; indicatori ad hoc derivanti da numerose fonti statistiche ufficiali; un glossario tematico; grafici; riferimenti a pubblicazioni e link utili. Noi Italia consente, inoltre, il download dell’intera base di dati relativa agli indicatori.

Infine, una dashboard interattiva permette di visualizzare, condividere o effettuare il download di dati e grafici, nonché di personalizzare le tavole di dati e scaricarle in formato csv, per ciascun settore e contesto territoriale (Italia, Regioni, Europa).

Al 1° gennaio 2024, con il 13,2 per cento dei 449 milioni di abitanti dell’Unione europea (UE), l’Italia (59 milioni) si conferma tra i primi paesi per importanza demografica, dopo Germania (84 milioni) e Francia (68 milioni). Oltre un terzo dei residenti è concentrato in sole tre regioni: Lombardia, Lazio e Campania.

Nel 2023, in Italia il lieve calo della popolazione (-0,4 per mille rispetto all’anno precedente) è frutto di una dinamica naturale sfavorevole, caratterizzata da un eccesso dei decessi sulle nascite, in larga parte compensata da una dinamica migratoria (in aumento rispetto al 2022) e dai movimenti migratori con l’estero di segno positivo.

Il decremento demografico interessa quasi esclusivamente il Mezzogiorno (-0,4 per cento) e, in misura minore, il Centro (-0,1 per cento). In netta controtendenza, si registra invece un aumento della popolazione nel Nord (+0,2 per cento), riconducibile in larga parte a una dinamica migratoria decisamente positiva.

Tra gli spostamenti interni dei residenti, uno su tre interessa la tradizionale direttrice dei flussi che dal Mezzogiorno si dirige verso il Centro-nord. L’Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento evidenziano i tassi migratori interregionali più elevati (rispettivamente +3,8 per mille e + 3,0 per mille), la Basilicata e la Calabria i più bassi (-5,3 per mille, per entrambe).

Non si ferma la crescita dell’indice di vecchiaia che, al 1° gennaio 2024, raggiunge quota 199,8 (anziani ogni cento giovani), con un aumento di quasi 7 punti percentuali rispetto al 2023. Tra le regioni, la Liguria (276,6) e la Sardegna (266,6) detengono i valori più elevati, mentre la Campania (154,3) e la Provincia autonoma di Bolzano/Bozen (135,7) i valori più bassi. Nell’Unione europea (UE), l’Italia è il paese con il più alto indice di vecchiaia.

Al 1° gennaio 2024, rispetto all’anno precedente, si registra un lieve incremento dell’indice di dipendenza, che sale a quota 57,6 (persone in età non lavorativa ogni cento in età lavorativa). Tra il 2023 e il 2024, si registra una situazione di stabilità o di leggero decremento dell’indice di dipendenza in tutte le ripartizioni, a eccezione del Mezzogiorno (+0,5 punti percentuali). A livello regionale, l’incremento più significativo dell’indice di dipendenza si ha in Basilicata (+0,8) seguita da Sardegna (+0,7) e Calabria (+0,6), mentre le regioni con il maggior decremento sono Liguria, Lombardia ed Emilia- Romagna (-0,2). Dal 2004 al 2024, l’indice di dipendenza in Italia è aumentato (+7,6 punti percentuali), a conferma della maggiore presenza di uno squilibrio tra le generazioni. In ambito UE, l’Italia fa parte del gruppo dei paesi con indice di dipendenza più elevato della media europea (56,7).

Nel 2024, la speranza di vita alla nascita della popolazione residente italiana è di 81,4 anni per i maschi e di 85,5 per le femmine, con un incremento di circa 5 mesi per entrambi rispetto all’anno precedente. L’indicatore, dopo il decremento registrato nel 2020, mostra un progressivo aumento a partire dal 2021, sia per la popolazione maschile sia per quella femminile. Si vive mediamente più a lungo nel Nord, soprattutto in Trentino-Alto Adige/Südtirol, in testa con un valore per le femmine pari a 86,7 e per i maschi pari a 82,7. Il valore minimo della speranza di vita si ha in Campania, sia per i maschi (79,7 anni) sia per le femmine (83,8 anni). L’Italia è tra i paesi europei con la speranza di vita alla nascita più elevata.

Nel 2023 il numero medio di figli per donna è pari a 1,20 (1,24 nel 2022), valore di gran lunga inferiore alla soglia minima per garantire il ricambio generazionale (circa 2,1 figli). L’età media della madre al parto è di 32,5 anni. A livello regionale, la Sardegna presenta il più basso livello di fecondità (0,91), mentre nella Provincia autonoma di Bolzano/Bozen si registra il valore più alto (1,57). Nella graduatoria europea, l’Italia è tra i paesi dell’UE a più bassa fecondità e tra quelli con il calendario riproduttivo più posticipato.

In Italia, al 1° gennaio 2024 risiedono circa 5,3 milioni di cittadini stranieri, comunitari e non comunitari (112 mila in più rispetto all’anno precedente), che rappresentano l’8,9 per cento del totale della popolazione residente. L’83,2 per cento dei cittadini stranieri residenti in Italia si concentra nel Centro-nord. La regione con la più alta percentuale di popolazione straniera residente è l’Emilia-Romagna (12,6 per cento della popolazione residente, con quasi 561 mila persone), mentre in valore assoluto è la Lombardia a detenere il maggior numero di residenti stranieri (oltre 1,2 milioni di individui).

In Italia, al 1° gennaio 2024 sono regolarmente presenti oltre 3,6 milioni di cittadini non comunitari, il 59,3 per cento dei quali ha un permesso di soggiorno di lungo periodo. Nel 2023 i nuovi permessi di soggiorno rilasciati a cittadini non comunitari sono circa 330 mila, con una diminuzione del 26,4 per cento rispetto al 2022, dovuta in larga parte alla riduzione dei permessi per asilo e protezione internazionale (-47,6 per cento). Nel 2023 le motivazioni prevalenti dei nuovi ingressi sono i ricongiungimenti familiari (39,0 per cento) e le richieste di asilo e protezione internazionale (32,1 per cento), seguite dai motivi di lavoro (11,8 per cento). L’83,9 per cento dei cittadini non comunitari regolarmente presenti ha un permesso rilasciato o rinnovato nel Centro-nord, che scende al 16,1 per cento nel Mezzogiorno. Le regioni con le quote più elevate di rilasci o rinnovi di permessi di soggiorno sono: Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto. La diminuzione dei nuovi flussi di ingresso ha riguardato soprattutto il Sud (-30,5 per cento) e il Nord-est (-29,8 per cento).

Nel 2024, il livello di istruzione degli stranieri è ancora inferiore a quello degli italiani: nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni, circa il 48,1 per cento degli stranieri ha conseguito al più la licenza media, rispetto al 34,5 per cento dei coetanei italiani; il 40,2 per cento ha un diploma di scuola superiore e l’11,6 per cento una laurea, a fronte, rispettivamente del 44,8 e del 20,7 per cento degli italiani della stessa fascia di età.

Nel 2024 il tasso di occupazione degli stranieri di età compresa tra i 20 e i 64 anni è pari al 66,2 per cento, in aumento rispetto al 2023 (+2,4 per cento), ma risulta comunque inferiore a quello degli italiani (67,2 per cento).

Nel 2024 il tasso di disoccupazione scende al 6,1 per cento tra gli italiani e al 10,1 per cento tra gli stranieri, con un calo di intensità simile per entrambi i gruppi (rispettivamente 1,2 e 1,1 punti percentuali). Nonostante la diminuzione sia maggiore per le donne, queste ultime mostrano nel complesso tassi di disoccupazione più elevati degli uomini: 6,8 per cento per le italiane e 12,1 per cento per le straniere.

Nel 2024, sebbene in lieve aumento, il tasso di inattività (15-64 anni) per gli stranieri (30,6 per cento) si conferma inferiore a quello degli italiani (33,7 per cento). In tutte le ripartizioni territoriali, tra gli stranieri, si registra una diminuzione del gap di genere, soprattutto nel Nord-ovest, dove il tasso di disoccupazione per gli uomini è in crescita. Il tasso di inattività si riduce nel Nord-est e nel Centro (rispettivamente -0,3 e -0,4 punti percentuali), mentre aumenta nel Nord-ovest e soprattutto nel Mezzogiorno

Nel 2022 il reddito familiare netto medio annuo è di 35.995 euro, ma essendo la distribuzione dei redditi asimmetrica, la metà delle famiglie non supera i 28.865 euro. La distribuzione del reddito a livello regionale mostra sostanziali differenze: nel 2022, le regioni con una concentrazione della distribuzione dei redditi più alta sono Calabria e Sicilia, mentre una maggiore omogeneità nella distribuzione si registra per Marche e Molise.

Nel 2023, in Calabria le persone che vivono in famiglie in condizione di grave deprivazione materiale e sociale sono oltre 380 mila, pari al 20,7 per cento della popolazione residente. Nel Mezzogiorno il 9,8 per cento della popolazione residente (oltre 1,9 milioni di individui) vive in condizione di grave deprivazione, mentre nel Nord-est l’1,6 per cento (oltre 188 mila individui); in Emilia-Romagna poco meno dell’1 per cento degli individui (oltre 41 mila persone); nelle Marche l’1,0 per cento si trova in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (oltre 15 mila individui).

Nel 2023, in Italia la spesa media mensile delle famiglie residenti è pari in valori correnti a 2.738 euro, in marcato aumento rispetto al 2022 (+4,3 per cento), ma la crescita in termini reali si riduce dell’1,5 per cento per effetto dell’inflazione (+5,9 per cento la variazione su base annua dell’Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i paesi dell’UE-IPCA). Le famiglie spendono in media 526 euro mensili per prodotti alimentari e bevande analcoliche, mentre la spesa per beni e servizi non alimentari è di 2.212 euro al mese. Le famiglie spendono un totale di 985 euro al mese (36,0 per cento della spesa media familiare totale), principalmente per abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili, manutenzioni ordinarie e straordinarie. Nel Nord-ovest si spendono in media 736 euro in più del Mezzogiorno. Le regioni con la spesa media mensile più elevata sono Trentino-Alto Adige/Südtirol (3.478 euro) e Lombardia (3.189 euro), mentre Puglia e Calabria quelle con la spesa più contenuta (rispettivamente 2.060 e 2.008 euro al mese).

Nel 2023, in Italia sono in condizione di povertà assoluta poco più di 2,2 milioni di famiglie (8,4 per cento del totale delle famiglie residenti rispetto all’8,3 per cento nel 2022), per un totale di quasi 5,7 milioni di persone (9,7 per cento). I minori colpiti dalla povertà assoluta sono quasi 1,3 milioni, appartenenti a circa 748 mila famiglie. Gli stranieri in povertà assoluta sono oltre 1,7 milioni, con un’incidenza della povertà assoluta tra gli stranieri pari al 35,1 per cento, valore di oltre quattro volte e mezzo superiore a quello degli italiani (7,4 per cento).

Nel 2023, in Italia sono in condizione di povertà relativa oltre 2,8 milioni di famiglie (10,6 per cento del totale delle famiglie residenti), per un totale di 8,4 milioni di persone (14,5 per cento, in crescita rispetto al 14,0 per cento dell’anno precedente). Nel 2023 l’incidenza della povertà relativa familiare è stabile in tutte le ripartizioni territoriali, mentre a livello individuale si registra un peggioramento nel Nord-ovest (10,1 per cento, era il 9,0 per cento nel 2022). Le regioni che registrano i valori più elevati dell’incidenza della povertà relativa familiare sono: Calabria (26,8 per cento), Puglia (22,3 per cento) e Campania (21,2 per cento); mentre Trentino-Alto Adige/Südtirol (4,9 per cento), Toscana (5,0 per cento) e Veneto (5,2 per cento) presentano i valori più bassi.

Nel 2024 la soddisfazione per la situazione economica varia sensibilmente tra le diverse aree geografiche del Paese. In Italia, rispetto all’anno precedente, per la classe di età di 14 anni e più il Nord-est registra la quota più elevata di persone molto o abbastanza soddisfatte (61,5 per cento), mentre il Mezzogiorno rappresenta il territorio con la minore quota di soddisfazione (51,7 per cento). Rispetto al 2023, la flessione più significativa si registra nelle regioni del Nord-ovest, la cui soddisfazione scende dal 63,4 per cento al 61,0 per cento.

Nel 2023 le famiglie italiane destinano a consumi culturali e ricreativi il 5,8 per cento della loro spesa, un valore inferiore alla media dei paesi UE (7,6 per cento). Nel 2024 continua la ripresa generalizzata della fruizione delle attività culturali svolte fuori casa, iniziata nel 2022, dopo il calo senza precedenti registrato negli anni della pandemia. Gli incrementi più consistenti riguardano soprattutto: la visione di spettacoli cinematografici (45,5 per cento, rispetto al 40,9 per cento del 2023); gli altri concerti di musica (24,7 per cento, rispetto al 21,7 per cento del 2023); le rappresentazioni teatrali (22,0 per cento, rispetto al 19,8 per cento del 2023). Nel 2024, la ripresa della fruizione di attività culturali svolte fuori casa, pure avendo riguardato tutta la penisola italiana, ha interessato particolarmente il Centro-nord. Nel 2022 sono presenti 4.416 mila musei e istituti similari aperti al pubblico. Presso un comune italiano su quattro è presente almeno una struttura museale. Dopo due anni di pandemia e un netto calo della fruizione del patrimonio museale, si registrano quasi 108 milioni di visitatori, valore che torna in linea con i livelli prepandemici. Quasi un terzo dei musei e istituti similari (31,4 per cento) si concentra in tre regioni: Toscana (530 strutture), Emilia-Romagna (456 strutture) e Lombardia (401 strutture). Le aree e i parchi archeologici (6,7 per cento delle strutture museali nazionali) sono più presenti tra le strutture museali della Sardegna e della Sicilia dove rappresentano, rispettivamente il 23,2 e il 15,2 per cento dell’offerta museale regionale. Le prime tre regioni per numero di visitatori di musei e istituti similari sono: Lazio, Toscana e Campania che, complessivamente, attraggono quasi 56 milioni di visitatori (51,7 per cento del totale). Nel 2023, in Italia aumenta la quota di lettori di libri rispetto all’anno precedente (40,1 per cento della popolazione di 6 anni e più; 39,3 per cento nel 2022): il 43,7 per cento legge fino a 3 libri l’anno, mentre i “lettori forti” (12 o più libri letti in un anno) sono il 15,4 per cento. La lettura di libri è soprattutto prerogativa dei giovani e della componente femminile di popolazione. Nel Mezzogiorno si registra una minore propensione alla lettura (28,5 per cento) con l’eccezione della Sardegna, che registra una quota più elevata (38,6 per cento) rispetto alle altre regioni della ripartizione geografica. Nel 2023, in Italia è in leggero calo la quota di lettori di quotidiani (almeno una volta a settimana) e corrisponde al 26,1 per cento della popolazione di 6 anni e più (26,8 per cento nel 2022). I maschi, più delle femmine, hanno l’abitudine di leggere quotidiani e, per entrambi, i maggiori lettori di quotidiani appartengono alle fasce di età 45 anni e più. Nel Nord, rispetto alle altre ripartizioni, la lettura dei quotidiani coinvolge una percentuale più alta dei residenti, in particolare nel Nord-est (32,7 per cento). Nel Mezzogiorno fa eccezione la Sardegna, dove la quota di lettori di quotidiani (30,7 per cento) supera quella di alcune regioni settentrionali, così come la quota dei “lettori forti” che leggono quotidiani 5 o più volte a settimana (36,8 per cento). Nel 2024 la percentuale di persone che leggono giornali, informazioni e riviste su Internet (46,1 per cento) è in leggero aumento rispetto all’anno precedente (+1,8 punti percentuali). Il fenomeno è più diffuso tra i maschi (48,7 per cento, con una differenza di 5,1 punti percentuali, rispetto alle femmine). La fascia di età più attiva è quella tra i 25 e i 54 anni, con un picco tra i 25 e i 34 anni (64,1 per cento). Su scala europea, nel 2024, l’Italia occupa l’ultima posizione nell’utilizzo della Rete finalizzato alla lettura di giornali e riviste. Nel 2022, in Italia si osserva una tendenza positiva per quanto riguarda la presenza delle biblioteche sul territorio rispetto agli anni precedenti. Il numero di comuni italiani con almeno una biblioteca è aumentato, passando dal 58,2 per cento (2019) al 67,5 per cento (2022). Anche gli accessi alle biblioteche sono in crescita rispetto al 2021, sebbene non abbiano ancora raggiunto i livelli del 2019: nel 2022 si sono registrati 596 ingressi ogni mille abitanti, un dato comunque inferiore rispetto agli 837 ingressi del 2019. Nel 2022, rispetto al 2019, quasi tutte le aree del Paese mostrano un miglioramento rispetto alla presenza di biblioteche nei comuni tranne il Nord-est, dove dal 92,9 per cento dei comuni con almeno una biblioteca nel 2021, si passa all’80,9 per cento nel 2022. Le regioni del Nord registrano un numero maggiore di ingressi fisici alle biblioteche (954 ogni mille abitanti) rispetto al Mezzogiorno (169 ogni mille abitanti). Nel 2023 poco più di un terzo della popolazione di 3 anni e più pratica sport nel tempo libero (36,9 per cento). Il 28,3 per cento della popolazione lo fa in modo continuativo. In particolare, il fenomeno è più diffuso tra i maschi (42,5 per cento). La propensione più alta si registra nel Nord-est del Paese ed è particolarmente elevata in Trentino-Alto Adige/Südtirol (53,8 per cento); la propensione più bassa si registra in Calabria (47,0 per cento).

Nel 2023, in Italia la criminalità complessiva denunciata è tornata ai livelli osservati nel 2018, in netta risalita rispetto al dato registrato nel 2020, superando i livelli del 2019. I delitti contro il patrimonio continuano ad aumentare a partire dai furti, circa 17 ogni mille abitanti. L’aumento del numero di denunce per furto è dovuto a un aumento della diffusione dei furti in appartamento (250,3 ogni 100 mila abitanti) e dei borseggi (237 per 100 mila abitanti), mentre resta invariato il numero di scippi (22,5 ogni 100 mila abitanti). In aumento anche le rapine (47,6 ogni 100 mila abitanti), in particolare quelle compiute in strada, mentre più limitato è l’aumento di rapine negli esercizi commerciali. In linea con l’aumento dei furti crescono le rapine in abitazione (3,1 ogni 100 mila abitanti). Nel 2023, rispetto al 2022, tra i delitti contro la persona sono in aumento gli omicidi volontari consumati e tentati (rispettivamente +3,0 per cento e +1,5 per cento). Al contrario, le denunce di violenza sessuale sono in lieve diminuzione (-0,9 per cento). Gli omicidi volontari consumati sono 341 (0,58 per 100 mila abitanti), valore in rallentamento (+3,0 per cento), rispetto al 2022 (+9,0 per cento nel 2022). Nel Mezzogiorno, rispetto al Centro-nord, si registra un’incidenza decisamente più elevata degli omicidi volontari (rispettivamente 0,68 e 0,53 omicidi per 100 mila abitanti). Nel Mezzogiorno, il 67 per cento delle vittime di omicidio è di sesso maschile, mentre nel Centro-nord è del 61 per cento. Per la componente femminile di popolazione, si conferma un quadro stabile, in cui le morti violente avvengono soprattutto nell’ambito della coppia. Il contesto in cui avvengono i femminicidi è infatti familiare/affettivo (81 per cento circa dei casi), senza differenze significative per età. Il tasso di femminicidi commessi da un partner o ex partner (coniuge, convivente, fidanzato o amante) è pari allo 0,21 per 100 mila femmine. In particolare, a compiere il maggior numero di femminicidi nella coppia è il partner con cui la donna ha una relazione al momento della morte (41,0 per cento), mentre si tratta di ex partner nel 12,8 per cento dei casi. Per i maschi, l’ambito familiare è invece relativamente sicuro (21,3 per cento degli omicidi), solo in piccola parte commessi dalla partner o ex partner), mentre in poco meno della metà dei casi, l’omicida era sconosciuto alla vittima (48,8 per cento). Nel 2024, rispetto all’anno precedente, si stima un aumento della quota di famiglie che percepisce il rischio di criminalità nella zona in cui vive (26,6 per cento, a fronte del 23,3 per cento nel 2023). La quota più elevata di famiglie che percepisce il rischio di criminalità si registra nel Centro (30,7 per cento), seguito dal Nord-ovest (27,5 per cento). Le regioni che manifestano le percentuali più elevate sono Campania (39,6 per cento) e Lazio (38,3 per cento), dove il valore è sensibilmente superiore al dato nazionale (26,6 per cento). Alla fine del 2024, i detenuti presenti nelle strutture penitenziarie per adulti sono quasi 62 mila, aumentati del 2,8 per cento rispetto all’anno precedente. La quasi totalità dei detenuti è di sesso maschile (95,6 per cento) – quota stabile nel tempo – mentre gli stranieri costituiscono il 31,8 per cento del totale dei detenuti. Tra il 2023 e il 2024, nonostante il limitato allargamento degli istituti penitenziari (+0,25 per cento, rispetto al 2023), l’aumento del numero dei detenuti presenti ha comportato un aumento dell’indice di affollamento delle carceri (da 109,5 detenuti per cento posti regolamentari nel 2022, a 120,6 nel 2024). Alla fine del 2024, il 73 per cento degli istituti penitenziari (138 su 189) risulta in condizioni di sovraffollamento. Negli istituti sovraffollati è ospitato l’84,3 per cento delle persone detenute in Italia. A livello regionale, nel 2024, il sovraffollamento maggiore si riscontra in Puglia e in Lombardia (rispettivamente 148,0 e 142,4 detenuti per 100 posti regolamentari). Nel 2024, prosegue il miglioramento del livello di istruzione degli adulti (25-64 anni) per effetto dell’ingresso di generazioni di giovani, mediamente più istruiti, da un lato, e l’uscita di generazioni di anziani, in genere meno istruiti, dall’altro. La quota di coloro che hanno conseguito al più la licenza media è scesa al 33,6 per cento, con una percentuale più elevata tra i maschi (36,2 per cento) rispetto alle femmine (30,9 per cento). Nel Mezzogiorno la quota di coloro che hanno conseguito al più la licenza media è uguale al 41,3 per cento a fronte del 29,6 per cento nel Centro-nord. Nel 2022 il tasso di partecipazione dei giovani (20-24 anni) al sistema di istruzione e formazione è pari al 38,9 per cento, inferiore a quello dell’UE (45,1 per cento). Si registrano elevate differenze tra le regioni: il Lazio ha il valore più alto (57,5 per cento), seguito dall’Emilia-Romagna (55,3 per cento), mentre la Basilicata (13,2 per cento) e la Provincia autonoma di Bolzano/Bozen (15,7 percento) hanno i valori più bassi. Nel 2024 la quota di giovani (18-24 anni) che abbandonano precocemente gli studi è pari al 9,8 per cento; nel Mezzogiorno il valore è più elevato (12,4 per cento). L’abbandono precoce degli studi riguarda più i ragazzi (12,2 per cento) che le ragazze (7,1 per cento). Il benchmark europeo per l’abbandono scolastico è fissato al 9 per cento per il 2030. Nel 2024 i giovani (15-19 anni) che non lavorano e non studiano (i cosiddetti NEET, dall’acronimo di Not in Education, Employment or Training) sono circa il 15,2 per cento della popolazione di età tra i 15 e i 29 anni. La quota è più elevata tra le femmine (16,6 per cento) che tra i maschi (13,8 per cento) e, nel Mezzogiorno (23,3 per cento), supera il doppio del Centro-nord (10,7 per cento). L’Italia è tra i paesi europei con le percentuali di NEET più elevate. Nel 2024 la percentuale delle persone (25-34 anni) con un titolo di studio universitario è del 31,6 per cento. Il divario di genere è molto ampio ed è a favore delle femmine (38,5 per cento rispetto al 25,0 per cento dei maschi). Per l’Italia il valore è ancora molto lontano dall’obiettivo medio europeo stabilito per il 2030 dal Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione (almeno il 45 per cento nella classe di età 25-34 anni). Nel 2023 aumenta la partecipazione degli adulti alle attività formative, fondamentale per favorire l’occupazione degli individui e la loro vita sociale e relazionale, coinvolgendo l’11,6 per cento della popolazione nella fascia di età tra i 25 e i 64 anni.

Nel 2024 il tasso di occupazione (20-64 anni) sale al 67,1 per cento (+0,8 punti percentuali rispetto al 2023). L’incremento riguarda maggiormente le femmine (+0,9 punti percentuali), ma il divario di genere persiste (57,4 per cento a fronte del 76,8 per cento dei coetanei maschi). A livello territoriale i divari sono evidenti: nel Centro-nord il 74,1 per cento della popolazione nella fascia di età 20-64 anni è occupata, mentre nel Mezzogiorno la quota è pari al 53,4 per cento; gli estremi variano tra il 48,5 per cento della Calabria e il 79,9 per cento della Provincia autonoma di Bolzano/Bozen. Nel 2023 il tasso di occupazione è cresciuto maggiormente rispetto alla media europea (+1,5 punti percentuali) ed è pari al 66,3 per cento; si riduce il divario dalla media europea, da 9,8 a 9 punti percentuali, tuttavia l’Italia continua a occupare l’ultima posizione della graduatoria dei 27 paesi UE, a circa un punto percentuale di distanza dalla Grecia. Nel 2024 l’incidenza del lavoro a termine scende al 14,7 per cento (-1,3 punti percentuali rispetto al 2023). L’incidenza è più elevata per le femmine (16,1 per cento rispetto al 13,5 per cento per i maschi). La quota dei lavoratori a tempo determinato più elevata si rileva nel Mezzogiorno (20,0 per cento). Nel 2024 la quota degli occupati part-time scende al 17,1 per cento dell’occupazione totale (-0,9 punti percentuali rispetto al 2023). Nonostante la riduzione della quota sia maggiore per le donne, resta forte il divario di genere (30,0 per cento per le femmine rispetto al 7,5 per cento dei maschi). L’incidenza del part-time è più elevata nel Nord-est (18,1 per cento), in particolare in Trentino-Alto Adige/Südtirol (22,1 per cento). Nel 2024 il tasso di disoccupazione (15-74 anni) diminuisce di 1,2 punti percentuali rispetto al 2023 ed è uguale al 6,5 per cento, con differenze tra la componente femminile e maschile di popolazione (rispettivamente 7,3 per cento e 5,9 per cento). Significative le differenze territoriali, con il valore del Mezzogiorno (11,9 per cento) che, seppure in flessione, supera di oltre tre volte quello del Nord-est e di oltre il doppio quello del Centro. Il valore più elevato si registra in Campania (15,6 per cento). Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) diminuisce, rispetto all’anno precedente (-2,4 punti percentuali), attestandosi al 20,3 per cento. Tra i giovani, l’indicatore si conferma più elevato per la componente femminile (22,2 per cento, a fronte del 19,2 per cento di quella maschile). È in diminuzione la quota di disoccupati che cercano lavoro da almeno un anno (-4,6 punti percentuali), con un valore pari al 50,2 per cento. Nel 2024 Il tasso di mancata partecipazione (15-74 anni), che misura quanti sono disponibili a lavorare, pur non cercando attivamente lavoro, scende al 13,3 per cento (-1,5 punti percentuali), comunque più elevato per le femmine di quasi 5 punti percentuali rispetto ai maschi. Il valore del Mezzogiorno (25,5 per cento) è tre volte superiore a quello del Centro-nord; Sicilia, Campania e Calabria presentano i livelli più alti (30 per cento circa). Il divario di genere a sfavore delle femmine (4,6 punti percentuali a livello nazionale) risulta più che doppio nel Mezzogiorno (9,8 punti), mentre è di circa 3 punti percentuali nel Centro-nord.

Nel 2022, in Italia la spesa sanitaria pubblica è di gran lunga inferiore rispetto a quella di altri paesi europei. La spesa sanitaria pubblica corrente dell’Italia ammonta a 130,386 miliardi di euro (6,7 per cento del Pil), 2.212 euro annui per abitante. A parità di potere di acquisto, a fronte di 3.526 dollari per abitante spesi in Italia nel 2022, la Cechia ne spende circa 3.947; la Finlandia si attesta intorno ai 4.661 dollari per abitante; Belgio, Irlanda, Danimarca e Francia superano i 5 mila dollari per abitante; Austria e Lussemburgo sfiorano i 6 mila dollari per abitante; Paesi Bassi e Svezia superano di poco i 6 mila dollari di spesa, mentre la Germania, con i suoi 7.403 dollari per abitante, si conferma al primo posto in Europa per spesa pro capite. Il confronto europeo evidenzia che, in Italia, nel 2023, la quota di spesa sanitaria privata sulla spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata) è pari al 26,0 per cento. L’Italia si colloca al quinto posto tra i paesi UE per contributo delle famiglie alla spesa sanitaria privata. I paesi in cui i contributi della spesa privata sono maggiori sono Grecia e Portogallo (38,3 per cento), Ungheria (28,5 per cento) e Slovenia (26,2 per cento); tutti gli altri paesi dell’UE registrano contributi minori. Nel 2022, in Italia l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 996 istituti di cura pubblici e privati accreditati con il Servizio sanitario nazionale (SSN). I posti letto ospedalieri sono pari a 3,0 per mille abitanti. Si conferma un divario tra le aree geografiche del Paese: il Mezzogiorno con 2,7 posti letto ogni mille abitanti, Nord-ovest e Nord-est con 3,2 posti letto per mille abitanti. I valori più bassi si registrano in Campania e Calabria (rispettivamente 2,5 e 2,6). I valori più alti si osservano nella Provincia autonoma di Trento (3,6) e in Emilia-Romagna (3,5). L’Italia è tra i paesi dell’UE con i livelli più bassi di posti letto per mille abitanti. L’attività ospedaliera ancora non raggiunge i livelli di ospedalizzazione registrati nel 2019, anno prepandemico. I ricoveri ospedalieri per 100 mila abitanti in regime ordinario, per le malattie del sistema circolatorio (1.640,8 per 100 mila abitanti) risultano ancora inferiori rispetto al 2019, anno pandemico; quelli per tumori (1.083,9 per 100 mila abitanti), anch’essi inferiori, seppure in misura minore. Nel 2023, rispetto all’anno precedente, si assiste a un progressivo incremento dell’emigrazione ospedaliera tra regioni, dopo la forte riduzione registrata nel 2020; i valori risultano inferiori ai livelli prepandemici solo nel Lazio, in Sicilia e in Abruzzo. Le regioni che risultano più attrattive, ossia con un’immigrazione ospedaliera di entità maggiore dell’emigrazione ospedaliera, sono principalmente nel Centro-nord. Si confermano quote più elevate di flussi in uscita principalmente nelle regioni del Centro-sud. Nel 2022 il tasso di mortalità evitabile (i decessi sotto i 75 anni che potrebbero essere evitati con un’assistenza sanitaria adeguata e stili di vita più salutari) è di 17,6 decessi per 10 mila abitanti. La mortalità evitabile è costituita da due componenti: la mortalità trattabile, cioè la mortalità che potrebbe essere contenuta grazie a una tempestiva prevenzione secondaria e a trattamenti sanitari adeguati (il cui tasso è pari a 6,3 decessi per 10 mila abitanti), e la mortalità prevenibile, che può essere evitata con efficaci interventi di prevenzione primaria e di salute pubblica (11,3 decessi per 10 mila abitanti). Entrambe le componenti sono diminuite, rispetto al 2021. I maschi hanno un tasso di mortalità evitabile più alto delle femmine (rispettivamente 23,2 e 12,5 per 10 mila abitanti). In particolare, lo svantaggio maschile è principalmente dovuto alla componente “prevenibile”, ossia quella maggiormente legata agli stili di vita (abuso di alcol, maggiore propensione a fumare, non adeguata alimentazione, eccetera) e ai comportamenti più a rischio (eventi accidentali, attività lavorativa, eccetera). La mortalità evitabile presenta anche nel 2022 delle forti disuguaglianze territoriali: il Nord- est ha il tasso di mortalità evitabile più basso (15,6 decessi per 10 mila abitanti), mentre il Mezzogiorno quello più alto (20,0 decessi per 10 mila abitanti). L’Italia presenta una mortalità evitabile tra le più basse in ambito europeo. Nel 2022, in Italia i tassi di mortalità delle principali cause di morte, ovvero malattie dell’apparato cardiocircolatorio (27,0 decessi per 10 mila abitanti) e tumori (23,1 decessi per 10 mila abitanti), sono rispettivamente aumentati e diminuiti rispetto all’anno precedente. Le disuguaglianze di genere continuano a essere più marcate per i tumori. Si conferma lo svantaggio del Mezzogiorno per la mortalità dovuta alle malattie del sistema cardiocircolatorio rispetto a tutte le altre ripartizioni (31,2 decessi per 10 mila abitanti), mentre il Nord-ovest presenta il tasso più alto per la mortalità per tumore (23,7 decessi per 10 mila abitanti). I tassi di mortalità per tumori e per malattie del sistema circolatorio, più bassi della media UE, sono inferiori a quelli della maggior parte dei paesi europei. Nel 2022 il tasso di mortalità infantile, importante indicatore del livello di sviluppo e benessere di un paese, è pari a 2,5 decessi per mille nati vivi, leggermente inferiore al 2021. Nel Mezzogiorno si registra il tasso mortalità infantile più elevato (3,0 decessi per mille nati vivi). L’Italia si conferma tra i paesi dell’UE con il più basso valore del tasso di mortalità infantile. Nel 2023 la quota di fumatori stimata è del 19,3 per cento e quella dei consumatori di alcol a rischio è pari al 15,4 per cento, mentre tra la popolazione adulta le persone obese rappresentano l’11,8 per cento. Non si osservano rilevanti differenze territoriali per l’abitudine al fumo. Nel Centro-nord si registra la quota più alta di consumatori di alcol a rischio (17,1 per cento); nel Mezzogiorno quella relativa alle persone obese (13,2 per cento).

Nel 2023 la spesa per la protezione sociale è pari al 28,9 per cento del Pil. Dal 2019 al 2023 si osserva un lieve decremento (-0,1 punti percentuali), mentre il decremento registrato rispetto al 2022 è pari a -0,7 punti percentuali. La spesa per prestazioni sociali è destinata prevalentemente alla funzione “vecchiaia” (50,8 per cento) e alla funzione “malattia” (22,1 per cento), seguite da: funzioni “superstiti” (8,4 per cento), “disoccupazione e altra esclusione sociale non altrove classificata” (7,8 per cento), “famiglia” (5,5 per cento) e “invalidità” (5,4 per cento). Nel 2022, la spesa pro capite per la protezione sociale è pari a 10.074 euro annui, appena al di sopra della media UE (10.050 euro). La spesa per la protezione sociale rapportata al Pil dell’Italia (29,7 per cento) supera la media UE (28,0 per cento). Nel 2022 il tasso di pensionamento (calcolato come rapporto tra il numero totale delle pensioni e la popolazione al 31 dicembre dell’anno di riferimento) è invariato rispetto all’anno precedente (37,9 per cento). La spesa per prestazioni sociali in percentuale del Pil è rimasta altresì invariata (20,2 per cento); al contrario, le prestazioni sociali pro capite (circa 6.670 euro) sono in lieve aumento. La spesa per prestazioni sociali è solo in parte finanziata dai contributi sociali, come emerge dall’indice di copertura previdenziale, misurato dal rapporto tra contributi e prestazioni, in aumento nel 2022 (70,8 per cento) rispetto al 2021 (68,8 cento). L’incidenza dei trattamenti pensionistici sul Pil è pari al 16,4 per cento, inferiore di 0,7 punti percentuali al 2021. L’indice di beneficio relativo, che mostra la quota del reddito medio per abitante derivante da trasferimenti pensionistici, è pari al 43,4 per cento. Nel 2022 la spesa dei comuni per i servizi sociali, al netto del contributo degli utenti e del Servizio sanitario nazionale, ammonta a 8,865 miliardi di euro, corrispondenti allo 0,46 per cento del Pil. Si conferma la tendenza alla crescita della spesa, iniziata nel 2016, dopo la flessione degli anni precedenti. Il 37,3 per cento delle risorse gestite dai comuni per i servizi sociali è destinato alle famiglie con figli, il 27,5 per cento ai disabili, il 14,8 per cento agli anziani. Dopo un aumento degli interventi a supporto delle famiglie in difficoltà economica, dovuto alla pandemia, la spesa per “povertà, disagio adulti e senza dimora” ritorna ai livelli del periodo prepandemico (9,0 per cento). La spesa residua è rivolta per il 5,1 per cento agli immigrati, per lo 0,3 per cento alle dipendenze da sostanze o comportamenti nocivi e per il 6,0 per cento alle spese generali, di organizzazione e per i servizi rivolti alla multiutenza. Nelle regioni del Mezzogiorno i livelli di spesa pro capite per la rete territoriale dei servizi sociali sono di gran lunga inferiori rispetto alle regioni del Centro-nord, a eccezione della Sardegna, dove i comuni spendono 306 euro per abitante, valore al di sopra della media nazionale (150 euro per abitante). Nelle altre regioni del Mezzogiorno, si passa da un minimo di 38 euro per abitante in Calabria, a un massimo di 103 euro in Puglia. Nel Centro-nord, viceversa, dove si concentra il 78 per cento della spesa per i servizi sociali, si passa da un minimo di 117 euro pro capite in Umbria, fino al massimo di 607 euro nella Provincia autonoma di Bolzano/Bozen. Nell’anno educativo 2022/2023, il 64,4 per cento dei comuni italiani offre servizi socio-educativi per la prima infanzia. Il 62,6 per cento dei comuni offre il servizio di nido (incluse le sezioni primavera); il 14,5 per cento garantisce un’offerta di servizi integrativi per la prima infanzia. Rispetto al precedente anno educativo si registra un aumento del 7,5 per cento degli iscritti ai nidi comunali o privati convenzionati con i comuni. Complessivamente, al 31 dicembre 2022, il numero degli iscritti ai servizi educativi per la prima infanzia finanziati dai comuni recupera quasi 15 mila unità rispetto al 2021, contando circa 205 mila bambini. La percentuale di bambini tra 0 e 2 anni accolti nelle strutture pubbliche o finanziate dal settore pubblico è uguale al 16,8 per cento, in aumento rispetto al 15,2 per cento dell’anno educativo precedente. A livello regionale l’indicatore di diffusione dell’offerta pubblica di servizi socio-educativi per la prima infanzia presenta significativi divari regionali: nell’anno educativo 2022/2023, si passa dal 100 per cento dei comuni della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e del Friuli-Venezia Giulia che garantiscono la presenza dei servizi, al 26,0 per cento della Basilicata.

Nel 2023, in Italia sono presenti 32.194 alberghi e oltre 197.337 esercizi extra-alberghieri, per un’offerta complessiva degli esercizi ricettivi di circa 5,2 milioni di posti letto. Rispetto all’anno precedente si rileva una leggera flessione sia degli alberghi (-0,7 per cento) sia dei posti letto (-0,4 per cento). La maggiore capacità ricettiva si trova nel Nord-est, con circa 1,8 milioni di posti letto. In Italia, le strutture ricettive offrono in media 88,3 posti letto ogni mille abitanti, a fronte di una media europea di 65,1. Tutte le regioni del Nord-est superano il numero di posti letto per mille abitanti rilevato a livello nazionale. Il Nord-ovest registra, invece, il valore più basso (52,1), con l’eccezione della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste che, con 453,5 posti letto per mille abitanti, occupa il primo posto nella graduatoria delle regioni italiane. Nel Centro, solo il Lazio ha un numero di posti letto per mille abitanti (68,7) inferiore a quello nazionale. Nel 2023 i flussi di clienti negli esercizi ricettivi continuano a crescere, superando i volumi registrati nel 2019: si contano 447,2 milioni di presenze totali (+8,5 per cento, rispetto al 2022) e 133,6 milioni gli arrivi (+12,8 per cento). Gli incrementi delle presenze sono di gran lunga più elevati per i clienti non residenti in Italia (+16,5 per cento) che per i residenti in Italia (+1,0 per cento). La permanenza media dei soggiorni nelle strutture ricettive italiane è pari a 3,35 notti, valore leggermente più basso rispetto al 2022 (3,48 notti). La domanda turistica espressa dalla popolazione residente assume invece valori simili: i viaggi effettuati sul territorio nazionale, per motivi di vacanza e di lavoro, sono 41,2 milioni, valore stabile rispetto all’anno precedente, ma ancora inferiore a quello prepandemico (-24 per cento circa rispetto al 2019). Le regioni in cui si registra il maggior numero di presenze turistiche (di residenti e non residenti) sono: Veneto, Trentino-Alto Adige/Südtirol, Toscana, Lazio e Lombardia. Queste regioni accolgono complessivamente circa 261 milioni di presenze (58,3 per cento del totale nazionale). Permangono forti differenze nella propensione a viaggiare per turismo: la popolazione residente al Sud e nelle Isole viaggia meno rispetto alla popolazione residente nelle altre regioni italiane. La propensione al turismo è maggiore nel Nord. Nel 2023, in Europa il 51,1 per cento dei residenti di 15 anni e più ha effettuato almeno una vacanza lunga (4 notti e più), riallineandosi ai valori prepandemici. L’Italia (36,4 per cento) resta ampiamente al di sotto della media europea.

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