Il problema maggiore che si pone per la Comunità internazionale con il nuovo anno è come porre fine alle due guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente sia per fermare gli inutili massacri che continuano a essere perpetrati dai belligeranti, sia per evitare che i conflitti in corso possano estendersi e provocare una conflagrazione di più ampie proporzioni. In Ucraina la situazione militare volge al peggio e Zelensky e il suo governo sono sempre più sotto pressione. Il fallimento della controffensiva lanciata con grande sicumera ha incrinato la compattezza della compagine governativa e della pubblica opinione sempre più scettica sulle possibilità di ribaltare le sorti della guerra.
D’altra parte ammettere la sconfitta significherebbe per Zelensky l’apertura di una grave crisi politica da cui solo Putin trarrebbe giovamento. Il presidente ucraino non ha quindi altra scelta se non quella di continuare la guerra nella speranza che Usa e NATO siano disposte a continuare a fornire consistenti aiuti economici e militari ad un paese ormai distrutto e allo stremo.
Né d’altra parte sembrano sussistere concrete possibilita’ per un congelamento delle ostilita’ per avviare un percorso di pace nonostante i contatti che americani e russi starebbero conducendo dietro le quinte. Putin ha il coltello dalla parte del manico e nella situazione attuale, consapevole della stanchezza e dello scetticismo crescente nell’Amministrazione e nell’opinione pubblica americana ed europea, non pare disponibile a nessun compromesso se non alle proprie condizioni.
Mutatis mutandis, le sorti del premier israeliano e del suo governo sono legate alla continuazione della guerra. Nessuna prospettiva sembra all’orizzonte per il dopo. Il piano del ministro della difesa Gallant, l’unico finora presentato, ha determinato una forte opposizione nella compagine governativa israeliana, soprattutto da parte dell’ultradestra convinta che la carta vincente sia l’allontanamento della maggior parte dei palestinesi al punto che contatti con la Repubblica congolese sarebbero in corso per un loro trasferimento in massa nelle savane africane.
Né Netanyau, indebolito peraltro dalla recente sentenza della Corte costituzionale sulla sua riforma della giustizia, sembra avere in tasca soluzioni alternative da proporre. La sua opposizione all’idea dei due Stati è ben nota e corroborata dalla politica di occupazione delle terre in Cisgiordania e Gerusalemme est dove ormai si sono insediati fino a 700mila coloni. Una soluzione potra’ essere imposta solo se Usa e Paesi arabi moderati troveranno un’intesa legittimata dall’Onu. Ma non sfugge che la sorte delle due guerre sembra essere ormai legata a un’intesa globale che coinvolga i maggiori stakeholders del Consiglio di Sicurezza. D’altra parte non intervenire e lasciare la situazione marcire significherebbe andare incontro ad un conflitto generalizzato come dimostrano le recenti azioni di guerra mirate o di terrorismo in cui sono coinvolti gli Hezbollah in Libano, gli Houtu nel Mar Rosso e lo stesso Iran.