Il verdetto dei mercati è impietoso: il tasso necessario per convincere gli investitori ad acquistare i bond dell’Italia è più alto di quello che occorre per i titoli greci.
È una buona notizia per i risparmiatori che acquistano Btp a rendimenti record, ma è un problema significativo per il Tesoro che deve finanziarsi al costo più alto tra i Paesi dell’Eurozona.
La questione critica è che i tassi italiani sono da mesi stabilmente più alti di quelli greci.
Già in passato era capitato saltuariamente il sorpasso su alcuni titoli.
Ma da maggio lo spread Italia-Grecia è stato costantemente attorno ai 50 punti base (0,5%).
Inoltre, scrive MF-Milano Finanza, Roma ha dovuto pagare tassi più alti su tutte le scadenze (a 2, 5 e 10 anni), come ha osservato l’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani (Ocpi) della Cattolica.
Il 6 ottobre lo spread è salito a 54 punti base a dieci anni, 47 punti a cinque anni e 68 punti a due anni.
Quali sono le ragioni della maggiore fiducia nella Grecia rispetto all’Italia?
Un aspetto importante va subito evidenziato.
Per effetto dei prestiti ottenuti dalle istituzioni europee, soprattutto dal Mes, circa l’80% del debito greco (per circa 200 miliardi) non è sul mercato.
Su questa quota Atene paga interessi molto bassi (circa l’1,2%) che non risentono dell’aumento dei tassi Bce.
Così una stampella importante arriva oggi proprio dal Mes, oggetto di forti polemiche in Italia e causa di una (fin troppo) severa austerity nel Paese ellenico nella crisi del debito sovrano.
Solo dal 2018 la Grecia è tornata a collocare titoli sui mercati.
Ma questa ragione da sola non basta a spiegare lo spread Italia-Grecia a partire da maggio.
Il divario tra i tassi è dovuto a “una performance economica che da qualche anno è migliore di quella dell’Italia in termini di crescita del pil, di velocità nella riduzione degli squilibri di finanza pubblica, di capacità di attrarre investimenti esteri e di credibilità dell’azione di governo”, ha osservato l’analisi sul tema dell’Ocpi firmata da Giampaolo Galli, Ilaria Maroccia e Isotta Valpreda.
“Le riforme dopo la crisi del debito hanno comportato grandi costi economici e sociali nei primi anni ma, come indicano i rapporti delle istituzioni internazionali e degli analisti, stanno dando risultati positivi negli anni più recenti”.
Un passaggio cruciale è stato il ritorno del rating di Atene a inizio settembre al livello investment grade da parte di Dbrs.
L’upgrade è stato la conseguenza di “impressionanti risultati” economici, secondo l’agenzia di rating.
Inoltre per Dbrs “le autorità greche si sono impegnate alla responsabilità sui conti, assicurando che il rapporto debito pubblico/pil rimanga su una traiettoria discendente”.
Sull’indebitamento la Grecia sta facendo passi da gigante e sta dimostrando la fattibilità di un miglioramento sostanziale sulla spinta della crescita.
Nel 2020 il debito a causa della pandemia è salito al 206% del pil.
Ma nei due anni successivi si è riportato al 171%, con un calo del 35%.
Ora il governo greco non intende accontentarsi: vuole portare il debito al 162% quest’anno (sotto il livello del 2012) e al 135% nel 2026 (-71% rispetto al 2020).
Quest’ultimo valore è particolarmente significativo anche per l’Italia: se i piani dei due governi saranno confermati, fra tre anni il dato debito/pil di Atene sarà più basso di quello italiano che così resterebbe il più alto dell’Eurozona.
Il miglioramento del rapporto è dovuto in gran parte alla crescita del denominatore, cioè del pil, che è cresciuto dell’8,4% nel 2021 e del 5,9% nel 2022 (+3,7% in Italia).
Quest’anno con ogni probabilità il prodotto salirà di oltre il 2%, grazie a turismo e investimenti.
Questi ultimi sono passati dall’11 al 14% del pil in tre anni e sono stati una delle principali ragioni del successo greco.
La Grecia ha anche vissuto un forte aumento degli investimenti diretti esteri, arrivati nel 2022 al livello massimo degli ultimi 20 anni (al 3,5% del pil, contro l’1% dell’Italia).
L’Ocpi ha calcolato che, fatto 100 il pil nel 2015, la Grecia è salita alla fine dell’anno scorso a quota 109 (mentre l’Italia è a 105) e arriverà a 121 nel 2026 (contro 110 dell’Italia).
Questi valori sono anche il frutto del recupero di competitività dell’economia greca.
Ipotizzando a 100 il costo del lavoro per unità di prodotto nel 2000, Atene è arrivata a 150 nel 2011, 30 punti più della media dell’Eurozona.
Adesso la Grecia è scesa a 135, contro una media europea oltre 140 e un dato dell’Italia oltre 150.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale i progressi nel mercato del lavoro riflettono gli incentivi alla contrattazione aziendale (invece di quella nazionale), le minori protezioni sui licenziamenti e il taglio del salario minimo e degli stipendi pubblici.
Quanto al deficit, il governo greco ha chiuso lo scorso anno con un avanzo primario dello 0,1%, che salirà all’1,1% quest’anno.
La ripresa economica greca, secondo l’Ocpi, è anche legata a due fattori politici: l’autorevolezza del premier Kyriakos Mitsotakis (che ha negato ogni coinvolgimento nello scandalo intercettazioni del 2022) e la riforma elettorale maggioritaria.
Prima di entrare in politica Mitsotakis ha studiato ad Harvard e Stanford e ha lavorato a Chase Manhattan, McKinsey e in un fondo di private equity.
È una persona che conosce bene il linguaggio dell’economia, sa cosa è fattibile e cosa non lo è, non indulge in posizioni estreme o comunque populiste”, ha rilevato l’Ocpi ricordando che è stato uno dei pochi leader stranieri a tenere un discorso al Congresso Usa in seduta comune.
Quanto al secondo fattore, poco dopo la prima vittoria del 2019 Mitsotakis ha fatto approvare una riforma elettorale con premio di maggioranza che ha ribaltato il proporzionale di Tsipras e ha dato stabilità al governo.
“Senza la nuova legge, il partito di Nuova Democrazia di Mitsotakis non avrebbe avuto la maggioranza dei seggi nelle elezioni di giugno 2023 e oggi sarebbe costretto a governi di colazione”, ha rilevato l’Ocpi.
“Questo è un fattore che rafforza la credibilità del progetto di governo che si identifica con quanto è contenuto nel Pnrr greco”.
La Grecia ha ottenuto da NextGenEu più fondi di chiunque in Europa in rapporto al pil ma “non sembra che si presentino i problemi che sta avendo l’Italia, come l’incapacità di spendere, il desiderio di cambiare i progetti, la scarsa attenzione alle riforme”, secondo Ocpi.
“Per ora il Pnrr greco gode di buona salute e tra gli operatori sembra prevalere l’opinione che saranno attuate le tante riforme previste, 67 in tutto, a cominciare dal miglioramento dell’amministrazione fiscale e dalla riduzione dell’evasione”.
Per Atene il bilancio non è comunque tutto rose e fiori: secondo Dbrs la sostenibilità del debito pubblico resta legata “alla capacità di sostenere gli avanzi primari e ai solidi tassi di crescita del pil nominale, poiché nel lungo periodo il debito verso le istituzioni sarà sostituito e sarà soggetto alla volatilità del mercato”.
Ma l’esempio greco ha evidenziato gli effetti positivi di un programma basato su crescita, riforme, investimenti e Pnrr, con una forte determinazione sulla discesa del debito pubblico.








