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Gabriele Romagnoli (La Stampa): «La magia del calcio e quel bisogno del ritorno alla normalità»

Gabriele Romagnoli commenta gli Europei di calcio e il ritorno a una quasi normalità nel Vecchio Continente ferito dalla pandemia. «Un’Europa che prova a rimettersi insieme nel solo modo che gli uomini hanno concepito da quando sono venuti al mondo: giocando. Si butta una palla in cortile e tutti accorrono, improvvisamente guariti dai mali e dai cattivi pensieri».

«Nel 2016 il continente colpito dal terrorismo si ritrovava proprio nell’epicentro: la Francia che aveva vissuto le stragi di Charlie Hebdo e del Bataclan – scrive su La Stampa – Schierava i suoi giovani, inseguiva una perduta allegria, consapevole che si è sempre giocato, perfino nei campi di prigionia, perché la partita è un’ora (e mezza) d’aria. La pandemia ha decretato soltanto una sospensione, un rinvio. Alla scelta, apparsa al tempo scombinata, di sedi sparpagliate, da Roma a Baku, si può ora attribuire una fatale preveggenza, l’inconsapevole intenzione di portare frammenti di gioia dove è passato il dolore».

«Basta non esagerare, basta ricordare che questo è un palliativo e non una cura. Altri rimedi verranno, per ora “facciamo finta di essere sani”. Ci sono ancora vittime, ricoverati e ci sono contagiati anche nelle squadre partecipanti. Ci sono bandiere no vax, sì vax, forse vax. Gli stadi non saranno pieni, il calcio non sarà quello vero al cento per cento, ma intanto c’è, intanto si vede l’alba oltre i cancelli».

«Dal fischio di re-inizio nella scorsa primavera non si è praticamente più smesso di giocare. Atleti e spettatori arrivano esausti, dopo troppe coppe e tornei, eppure sono pronti a spremere le ultime energie e l’estrema attenzione. È l’Europa, stavolta. Quella che due anni fa in tanti esecravano e a cui ora si chiede di recuperarci, che è un modo più burocratico per dire tenerci a galla, salvarci».

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