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Proviamo a crescere di più | L’analisi di Nicola Saldutti

A guardare il dibattito sulla manovra economica da 18,7 miliardi, in via di discussione in Parlamento, c’è la sensazione – osserva Nicola Saldutti sul Corriere della Sera – che il monopolio delle imposte come questione politica ci stia distraendo da altre priorità che il Paese dovrebbe affrontare con altrettanta urgenza.

Partiamo dalla crescita: per l’Istat l’aumento del Prodotto interno lordo nel 2025 si fermerà allo 0,6 per cento mentre salirà allo 0,8 per cento nel 2026. Vuol dire che in due anni l’Italia riuscirà a realizzare appena la metà della crescita raggiunta dai nostri vicini spagnoli quest’anno. Decisamente troppo poco.

Forse qualcosa, in tempi brevi, dovremmo fare, e non tanto per una questione di posti in classifica in Europa ma se vogliamo restare e consolidare la posizione di un Paese industrialmente significativo.

È vero, le tasse non equamente o progressivamente applicate (come stabilisce la Costituzione) sono un potenziale freno allo svolgersi regolare dell’attività economica, ma lo sono ancora di più le infrastrutture materiali e immateriali, la sproporzione tra i documenti (qualche volta ancora cartacei) che le aziende devono produrre agli uffici pubblici e l’urgenza che hanno di essere competitive per conquistare mercati o spingere sugli investimenti.

Una parola comincia a circolare, de-burocratizzare. Togliere almeno qualcosa, un documento inutile in meno e una connessione 5G veloce in più. Ecco, un po’ meno di tasse e un po’ più di investimenti si dovrebbe parlare.

Il simbolo di questo è l’Ilva: il Paese ha bisogno del suo acciaio ma ormai Taranto, che una volta era l’impianto siderurgico più grande d’Europa, sembra finita in una situazione eternamente sospesa. Per non dire peggio.

È vero, la distribuzione della ricchezza rappresenta la via maestra dell’equità, ma con lo 0,6 per cento di crescita del Pil si può fare proprio poco poco.

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