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Papa Francesco e la sua difficoltà a fare da mediatore | L’analisi di Lucetta Scaraffia

Sulla Stampa Lucetta Scaraffia si occupa delle difficoltà di Papa Francesco come mediatore nei conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente. Difficoltà – osserva – che discendono dalla figura di pontefice/diplomatico che Francesco si propone di incarnare: un ruolo che storicamente non fa parte dei compiti e delle prerogative del papa.

Si tratta, infatti, di un ruolo essenzialmente politico, che presuppone non solo la valutazione dell’insieme dei rapporti politici presenti sullo scenario internazionale, ma molto spesso la possibilità di promettere o minacciare qualcosa alle parti in causa. Il papa oggi rimane una figura religiosa autorevole, senza dubbio, ma sul piano morale, spirituale, non certo su quello politico.

Invece papa Francesco evidentemente pensa di poter fare da paciere per il solo fatto di tenersi accuratamente al di sopra delle parti. Anche quando, a mio sommesso parere, per motivi morali e spirituali al di sopra delle parti non dovrebbe stare. La guerra che oggi vede impegnata Israele, infatti, non solo è cominciata con un attacco brutale e improvviso, ma condotto da terroristi che si richiamano molto apertamente a un’ideologia dominata dall’antisemitismo. I quali hanno in qualche modo riattivato anche l’antisemitismo latente nei paesi occidentali.

Ebbene, l’antisemitismo, come si sa, tocca un nervo scoperto nella storia della Chiesa, costituisce una questione morale spirituale che, questa sì, compete al papa affrontare, e non solamente con frasi generiche di condanna. È un antisemitismo che ricompare dopo decenni in cui la Chiesa ha lavorato per ricollegarsi alle proprie radici religiose e spirituali ebraiche, cercando di gettarsi alle spalle secoli di contrasti e di persecuzioni.

Un antisemitismo che oggi per la prima volta la Chiesa può affrontare apertamente e coraggiosamente senza sentirsene responsabile. E invece sembra che la Chiesa, come del resto molti altri, non abbia chiaro che denunciare l’antisemitismo in tutte le forme in cui si sta ripresentando, lungi dal significare uno schierarsi dalla parte di Netanyahu, o indulgere all’islamofobia, significa semplicemente denunciare una malattia di una parte dell’Occidente e purtroppo di molta parte di Islam.

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