Sappiamo dire chiaramente quale Europa vogliamo?
I candidati, di cui si dovrà indicare la preferenza, dicano che Europa vogliono.
«Cosa siamo disposti a mettere in comune e su quali materie».
Nel 2019 in particolare ci siamo domandati come il processo d’integrazione potesse andare avanti nei campi economici, sociali, monetari e bancari ma anche nella politica estera e in quella dell’immigrazione.
Aggiungiamo quelle per la crescita e le infrastrutture.
I nostri candidati alle Europee si distinguano per compattezza sull’Europa da riformare: trovo insopportabile che non esistano ancora «beni europei».
E siamo fermi.
L’Europa che vogliamo non rimanda ai singoli Stati quelle infrastrutture strategiche per l’Europa.
Perché l’Europa c’è se sa permettersi queste scelte: fare strategia sulle opere che le servono.
Vuol dire rendere più forti i Paesi.
Meglio collegati.
Facilitare le aziende.
Creare occupazione.
Saper essere il futuro.
L’Europa, così, non avrebbe motivo di temere confronti.
Quella è l’Europa che ci fa battere il cuore.
Penso che sia (da due mandati) l’ora di infrastrutture europee: nei nostri comuni dove il Paese non è arrivato e ha danneggiato tutti.
Anche la media dell’economia europea, la media della corruzione europea, la media dell’occupazione europea.
In mezzo c’è stato il «debito comune» e il Pnrr ma il coraggio di realizzare opere europee non c’è, si preferisce un’Europa bancomat (ognuno degli Stati membri deposita soldi e poi con dei fondi e bandi li preleva, tra l’altro essere risparmiatori neanche in quel sistema non è premiante) bisogna spendere anziché investire e il Pnrr è la dimostrazione che pochi sanno fare coincidere le due mosse.
L’Europa dovrà favorire infrastrutture europee e distretti industriali europei: non si può altrimenti fare paragoni con sistemi come gli Usa (che pure vedono vecchie infrastrutture rispetto alla Cina).








