Secondo quanto emerge da uno studio dell’Istat, negli ultimi 20 anni non si è verificato il processo di convergenza delle regioni italiane meno sviluppate, che hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell’Ue27. L’analisi riguarda la politica di coesione Ue, che rappresenta la principale politica di investimento dell’Unione europea e si pone l’obiettivo di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle regioni. Polonia, Spagna, Italia e Romania sono gli Stati membri maggiormente coinvolti. Nel corso degli ultimi cicli di programmazione, tuttavia, per la Spagna, la Polonia e la Romania, che sono tra i principali beneficiari delle politiche di coesione, è cambiata la percentuale di popolazione interessata. Invece l’Italia ha mantenuto sostanzialmente stabile il suo coinvolgimento in termini di popolazione (oltre 19 milioni di abitanti) e ha ampliato il numero di regioni coinvolte.
Italia penalizzata
Per gli ultimi tre cicli di programmazione della politica di coesione (2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020) è possibile avere un quadro statistico pressoché completo e osservare, attraverso l’andamento del Pil pro capite a parità di potere di acquisto (ppa), se vi sono stati processi di convergenza fra le regioni e i territori degli Stati membri. Tra il 2000 e il 2021 si è realizzato solo parzialmente un processo di avvicinamento, che ha interessato in particolare le regioni che partivano da livelli più bassi di reddito, quasi tutte appartenenti agli Stati membri dell’Europa orientale. La mancata convergenza ha penalizzato le economie regionali, oltre a quella della Grecia, anche della Francia, della Spagna e, soprattutto, dell’Italia.
Italia lontana da media Ue
Non si è verificato il processo di convergenza delle regioni italiane classificate come “meno sviluppate” (pressoché quasi tutto il Mezzogiorno d’Italia a eccezione dell’Abruzzo), che hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell’Ue27. Ma è l’intero sistema Paese Italia che si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo: nel 2000 erano ben 10 le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite in ppa e nessuna fra le ultime 50. Nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo 4 (Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, Lombardia, Provincia autonoma di Trento e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste), mentre fra le ultime 50 ora se ne trovano ben quattro (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria).
Cresce gap Italia-Ue su reddito e produttività
Il divario crescente in termini di reddito (misurato in Pil pro capite in ppa) fra le regioni italiane economicamente meno avanzate e l’Ue27, è spiegato interamente dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali. Soltanto nel corso dell’ultimo ciclo di programmazione 2014-2020 è divenuta determinante anche la produttività del lavoro inferiore alla media Ue27 di 9 punti percentuali.
Divari si amplieranno al sud al 2030
Le recenti tendenze demografiche in atto in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, fanno presupporre che invecchiamento e spopolamento possano in futuro contribuire ad ampliare i divari in termini di reddito con il resto d’Europa. Le simulazioni effettuate mostrano, ceteris paribus e in assenza di interventi sull’occupazione e sulla produttività, che la forbice con l’Ue, nel 2030, è destinata ad allargarsi pressoché ovunque in Italia e in particolare nelle regioni del Mezzogiorno.
Uil: potenziare Pa e accelerare spesa fondi
«La fotografia scattata dall’Istat sulle politiche di coesione e sull’utilizzo dei Fondi europei è impietosa e dimostra ancora una volta che occorre potenziare la macchina della Pubblica Amministrazione centrale e locale». Lo dichiara Ivana Veronese, segretaria confederale Uil, aggiungendo che «bisogna accelerare la spesa dei fondi Ue 2014-2020: siamo di fronte a un’attività che procede troppo lentamente e di ciò siamo preoccupati. A febbraio di quest’anno è stato rendicontato, a Bruxelles, soltanto il 59,1% delle risorse a disposizione. Questo significa che fino alla fine dell’anno dobbiamo ancora spendere oltre 26 miliardi di euro. Tralasciando per un attimo i numeri, però, il giudizio deve riguardare, anche e soprattutto, la qualità della spesa. La logica dello “spendere, tanto per spendere” non porta a miglioramenti strutturali. Ribadiamo, inoltre, la necessità di concentrare le risorse su pochi obiettivi e, soprattutto, sul lavoro di qualità per giovani e donne», conclude.