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L’idea di Europa di Mattarella: non solo mercato, ma cultura comune | L’analisi di Carlo Di Cicco

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“Per un Rinascimento europeo partiamo dalla cultura”. Il Corriere della Sera sintetizza così l’invito del presidente Sergio Mattarella agli europei in un’intervista esclusiva per l’avvio del Festival du Livre di Parigi dove l’Italia è ospite d’onore. Il capo dello Stato riflette su letteratura, diritti, convivenza che sono determinanti per andare seriamente oltre un’Europa incompiuta o paralizzata da sovranismi, nazionalismi e dall’attuale conflitto in Ucraina.

L’intervista è importante perché rilancia la pace da una prospettiva diversa, inconsueta: come esito di una cultura rinnovata che scaturisce da una visione di fraternità che facilita l’ideale unitario europeo. La grande Europa resterà una grande utopia, lontana non tanto in assenza di una difesa comune, ma piuttosto di una cultura condivisa che diventi bussola comune di riferimento e alimenti l’immaginario dei cittadini per un progetto europeo desiderato e atteso. Non basta perciò una vasta cultura che resti privilegio di élite ristrette e non patrimonio accessibile, pane intelligente spezzato per tutti, a partire dagli ultimi. La riflessione del presidente Mattarella rilancia dunque per l’Europa l’urgenza già presente nell’enciclica Laudato sì di papa Francesco sulla cura della casa comune che necessita per realizzarsi di un “patto educativo globale”.

Non basta enunciare progetti senza indicare vie efficaci per traghettare la gente dal vecchio modo di pensare al nuovo mondo delle biotecnologie e dell’intelligenza artificiale. Francesco ha avviato il percorso comune tra le fedi mondiali per questi nuovi traguardi che richiedono perfino alle religioni millenarie di ripensarsi. In forma più discreta Mattarella suggerisce alla politica europea di cantierare un analogo percorso per maturare una coscienza civica condivisa, rispondente al progresso della scienza e della tecnica, senza svendere il proprio umanesimo solidale. Finora il presidente della Repubblica Italiana è difatti l’unico leader che solleciti a guardare all’Europa come esito non solo e primariamente dei dati economici, quanto piuttosto antropologici e culturali. Una coscienza che guidi e governi l’economia e la politica anziché modellare le coscienze sui parametri dei consumi e dei mercati.

“L’incontro e il dialogo tra culture – riflette Mattarella – offre l’opportunità di conoscersi al di fuori di consolidati stereotipi e crea, nel confronto, le condizioni per superare la fragilità di una interpretazione dell’identità basata sulla chiusura e il rifiuto dell’altro. Il rispecchiarsi in uno spazio largo è ciò che ha consentito il crescere delle civiltà. Il sapere si è affermato come un valore democratico, anzi come condizione della stessa vita democratica. Non a caso l’accesso all’istruzione è divenuto uno dei diritti contemporanei. Un bagaglio di studi limitato è una barriera che, oltre a creare divari, genera incomprensioni e, dunque, conflittualità e, soprattutto, ci impedisce di progettare il futuro con chiavi interpretative adeguate a comprendere la complessità del nostro vivere contemporaneo.

Il libro, come ogni altra modalità di espressione della creatività umana, rappresenta uno strumento di condivisione della conoscenza. Leggere è essenziale. Bisognerebbe leggere di più e, forse, la lettura del Milione di Marco Polo potrebbe aiutarci a comprendere lo spirito con cui va guardato il mondo”. Ci sono quindi un milione di ragioni per ripensare e ragionare sui quadranti dell’istruzione prevista dal nostro sistema Italia. E la prima impressione non è buona: come per altri obiettivi costituzionali anche la scuola, base democratica per l’apprendimento specialistico, è in sofferenza. Più che un diritto per la coscienza della dignità che lo studio perfeziona, lo si vive come un onere da rendere gravoso agli studenti, ai docenti e alle famiglie. L’articolo 3 della Costituzione che garantisce dignità e uguaglianza rimane nella sostanza estraneo alla scuola, ai cittadini che la frequentano e che vi lavorano.

Regna il precariato e la burocrazia. Talvolta sino allo sfinimento. E questo facilita la furbizia invece che la dedizione richiesta nell’ambito educativo. Parimenti alla sanità, la scuola resta l’habitat per cui si coniano parole e promesse sublimi che restano eterna promessa. Vale per tanti versi riprendere in mano Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani, con l’aggiunta di una Lettera dalla scuola alla Repubblica italiana e alla sua classe dirigente per segnalare l’urgenza di una rigenerazione scolastica. Con l’ascolto, anzitutto. L’ascolto degli studenti e dei docenti vittime dell’incuria. I diritti non possono dipendere solo dalla forza delle rivendicazioni. E tanto meno il sistema educativo che prepara i cittadini adulti del domani. Lasciare la scuola nella condizione di Cenerentola nazionale condanna il Paese all’arretratezza. Occorre restituire dignità alla scuola italiana.

“Volete fare una cosa buona? Educate i giovani. Volete fare una cosa santa? Educate i giovani. Volete fare una cosa santissima? Educate i giovani. In effetti questa è, tra le cose divine, la più divina”. Lo diceva don Bosco uno dei grandi educatori dell’età moderna. Il partire dalla cultura per un Rinascimento europeo auspicato da Mattarella significa per l’Italia in concreto anzitutto mettere la scuola nella condizione di diventare la salda premessa di una robusta cultura generale per tutti e base di nuove e diversificate competenze ulteriori. Non si tratta di un obiettivo facile o scontato. Lo stesso presidente lo lascia trasparire: “Spes contra spem, mi piacerebbe pensare a un nuovo rinascimento europeo, aperto al mondo intero” confida Mattarella.

Una speranza che è quella di ogni sensato italiano. Ma serve ritrovare una scuola in funzione non anzitutto in funzione dell’impiego ma capace di dare ragioni di vita per sorreggere la qualità di alto profilo del lavoro. Era forte in Dante – rammenta Mattarella – il richiamo alla conoscenza: “Lo ritroviamo nella sua opera massima, nell’Inferno, canto XXVI. “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, ammonisce. Mentre, in versi meno noti, nel XXII canto del Purgatorio, lancia un messaggio forse utile anche nella babele comunicativa del nostro tempo: “Veramente più volte appaion cose che danno a dubitar falsa matera per le vere ragion che son nascose”. Lo vorrei consegnare ai più giovani”.

Dall’insieme dell’intervista Mattarella disegna una trama forse visionaria dell’Europa che vorrebbe. Ma per fortuna, poiché senza capacità di sognare la politica rimane sterile. Non mancano suggestioni per guarire la politica attuale. Il presidente amerebbe applicare l’articolo 3 della nostra Costituzione all’Europa. “Trovo che quell’espressione “completarsi a vicenda” tra persone, tra esseri umani, tra cittadini europei, rappresenti quanto di più significativo si possa immaginare per l’Europa “unione delle diversità”, ispirata da una visione che sappia guardare lontano, senza il rischio della lusinga dell’inciampo in limes, in barriere artificiosamente create”.

E anche l’ostacolo che l’immigrazione sembra rappresentare per una parte dei Paesi europei potrebbe essere superato in una visione del medesimo articolo 3. “In questo senso potremmo parlare di “fraternità europea” come acquisizione di consapevolezze più autentiche, che abbiano la meglio anche su narrazioni correnti di crisi di convivenza con gli immigrati che giungono sulle nostre coste o agli altri confini d’Europa, fuggendo da guerre, carestie, sconvolgimenti climatici. Buoni esempi di “fraternità europea” non mancano: le porte aperte ai profughi ucraini e la generosità ad essi mostrata da Paesi come la Polonia parlano da soli.

Tuttavia, i principi sono tali se non ammettono declinazioni di comodo. La fraternità sarebbe più forte se fosse sempre ugualmente riservata a chi fugge da altre guerre, da altra fame, da altre catastrofi, lungo la linea del Mediterraneo, per esempio. Al centro deve essere la persona e i suoi diritti, senza distinzione, come recita l’articolo 3 della Costituzione “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Di suo Mattarella declina insieme interculturalità e vita democratica. “L’incontro e il dialogo tra culture offre l’opportunità di conoscersi al di fuori di consolidati stereotipi e crea, nel confronto, le condizioni per superare la fragilità di una interpretazione dell’identità basata sulla chiusura e il rifiuto dell’altro. Il rispecchiarsi in uno spazio largo è ciò che ha consentito il crescere delle civiltà. Il sapere si è affermato come un valore democratico, anzi come condizione della stessa vita democratica.

Non a caso l’accesso all’istruzione è divenuto uno dei diritti contemporanei. Un bagaglio di studi limitato è una barriera che, oltre a creare divari, genera incomprensioni e, dunque, conflittualità e, soprattutto, ci impedisce di progettare il futuro con chiavi interpretative adeguate a comprendere la complessità del nostro vivere contemporaneo”. E nella visione di un’Europa allargata – dall’Atlantico agli Urali – Mattarella, quasi a sorpresa, delimita i guasti che la guerra aperta con l’aggressione della Russia all’Ucraina rischia di sedimentare per decenni: “La cancel culture nei confronti della letteratura e dell’arte russe appare come un gesto sbagliato che vorrebbe colpevolizzare a ritroso i prodotti di secoli di storia europea, di cui quella cultura fa parte a pieno titolo. Gli intellettuali più avvertiti non hanno mancato di stigmatizzare questa visione. La cultura è tale se rifiuta le catalogazioni di comodo e aspira ad offrirsi come visione a confronto con il mondo”.

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