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Maddalena De Lucia (Ricercatrice Istituto Vulcanologia) risponde al Guardian: «Quella con l’Etna non è una guerra, ci regala meraviglia e stupore»

“No, non è una guerra, come ha titolato il Guardian il 22 marzo. Non è una battaglia tra la Montagna e l’esercito dei cittadini che ne abitano le falde, della scienza e della Protezione Civile. L’Etna, uno dei vulcani più attivi del mondo, fa il suo mestiere, cioè fa il vulcano. Ed erutta, ruggisce, si gonfia e si sgonfia, lancia ceneri e lapilli intorno a sé. A molti fa compagnia; sicuramente, quando la sua attività è limitata alla parte sommitale è uno degli spettacoli più belli della natura”. Parole e passione di Maddalena De Lucia, ricercatrice dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, tra le coordinatrici del blog dedicato ai vulcani.

Una dichiarazione d’amore. In questo momento, spiega, “regala meraviglia e stupore e fa dimenticare, anche se solo per poco, il brutto periodo che stiamo vivendo”. No, non e’ una nemica. L’Etna “e’ mamma, amica, protettrice, compagna, fastidiosa talvolta per le emissioni di cenere, rumorosa, irrequieta, arrabbiata. Qualche volta fa paura: i suoi boati, dai toni gravi e profondi, toccano le nostre corde nascoste e le fanno vibrare come tamburi, risvegliando ricordi ancestrali”

Quando il 16 febbraio 2021, i ricercatori dell’Ingv cominciarono a osservare un rapido aumento del tremore e, subito dopo, esplosioni sempre più imponenti fino a formare una fontana di lava, con emissione di cenere e lapilli, temevano già che quello spettacolo sarebbe andato in onda per diversi mesi, con cadenza regolare, talvolta quotidiana o anche più di una volta al giorno. Da allora, fino a oggi, con un breve intervallo primaverile di riposo i parossismi si sono succeduti costantemente. “Fino ai primi di aprile – spiega Maddalena sul blog IngvVulcani – ne abbiamo contato diciassette; dalla ripresa, il 19 maggio, ne abbiamo perso il conto. E, ogni volta, non ci siamo stancati di osservare la stessa successione di eventi”.

Aumento del tremore sismico, aumento dell’attività esplosiva, formazione di fontane di lava, trabocco e scorrimento di colate laviche, formazione di nubi di cenere alte diversi chilometri, caduta di lapilli e cenere vulcanica come pioggia o chicchi di grandine su vaste aree intorno al vulcano, fino a Catania e oltre. Protagonista, il cratere di sud-est, cresciuto prepotentemente in questi mesi, fino forse a superare il suo fratello maggiore, quello di nord-est, nato con l’eruzione del 1911 e che, con i suoi 3.320 metri di altezza, ha costituito fino a poche settimane fa la vetta più elevata dell’Etna. “Oggi, dopo queste ripetute eruzioni – sottolinea – la verifica su quale sia il punto più alto del vulcano è d’obbligo e sarà eseguita appena possibile”.

Il susseguirsi dei parossismi e la composizione chimica della cenere indicano che ad alimentare la recente attività dell’Etna sono serbatoi di magma profondo e più primitivo, secondo gli scienziati dell’Osservatorio etneo dell’Ingv. “E non è un luogo dove si elaborano strategie militari – prosegue la ricercatrice – l’Osservatorio Etneo. Piuttosto un luogo ‘di ascolto’, dove arrivano i segnali di centinaia di sensori che fanno il check up in tempo reale dello stato di attività del vulcano”.

Gli abitanti dell’Etna hanno osservato con i propri occhi gli spettacoli, spesso notturni, che la montagna offriva, e seguito trepidanti i comunicati degli scienziati. Dopo il primo incanto, hanno cominciato, tuttavia, a insinuarsi paure e incertezze: quando finiranno e che significato hanno tutti questi eventi? “Cosa potrebbe accadere? Sono segnali della prossima apertura di una frattura laterale e a bassa quota? Eh sì, perché – incalza Maddalena De Lucia – è questa la principale paura, che si apra una frattura sui fianchi del vulcano da cui la lava fluida e veloce, una volta emersa in superficie, possa raggiungere i centri abitati, come accadde a Randazzo quarant’anni fa”.

E poi c’è la cenere della colonna eruttiva che cade al suolo, difficile da spazzare via, che inesorabilmente ricopre case e strade e crea disagi agli automobilisti, ai pedoni e rovina i campi coltivati. “Cosa faremo di tutta questa cenere, che non sappiamo neanche dove buttare? Una parte potrà essere utilizzata come materiale da costruzione, ma il resto? Insomma – conclude, quasi disarmata e rapita dall’incanto dell’Etna, questa donna di scienza – rimaniamo attoniti e ammirati ogni volta, ma sappiamo che gli scienziati si danno da fare. Se li vedete su qualche elicottero o trasportare faticosamente strumentazioni e rocce, sappiate che sono lì per studiare il vulcano.

Se osservate costantemente il segnale del tremore vulcanico per scorgerne le variazioni, o le immagini delle telecamere termiche, sappiate che tecnici e ricercatori lavorano incessantemente affinché le reti di monitoraggio funzionino perfettamente e trasmettano i segnali rilevati al centro di sorveglianza. E sappiate che, anche per i vulcani apparentemente inattivi, come quelli napoletani, Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia, ci sono ricercatori e tecnici che li studiano amorevolmente e ne curano il monitoraggio geofisico e quello geochimico con registrazioni continue e in tempo reale, nei minimi dettagli”

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