Il comitato di esperti dell’Unesco ha valutato positivamente la candidatura della Cucina italiana a essere inserita nella lista del Patrimonio culturale immateriale dell’umanità.
Questa importante decisione dovrà essere ratificata, in sede politica, dal Comitato intergovernativo che si riunirà a Nuova Delhi il prossimo 8 dicembre.
Un tale riconoscimento renderebbe ufficiale l’opinione molto diffusa, anche a livello internazionale, dell’elevata qualità e varietà del cibo italiano.
Ed è certamente una buona cosa, ma non comporta automaticamente vantaggi sia sotto il profilo dell’immagine che dell’economia per il nostro Paese.
Essere un sito Unesco vuol dire disporre di un bollino di qualità, ma sono necessarie iniziative concrete per poterne trarre vantaggi effettivi.
Taluni riconoscimenti avvengono anche ai fini della salvaguardia, ma con scarso impatto sull’opinione pubblica.
Chi ricorda che, nel 2023, sono entrati nella lista Unesco i “Carsismi e grotte evaporitiche dell’Appennino Settentrionale” in Emilia Romagna o, nel 2025, le pratiche funerarie preistoriche delle “Domus de Janas” sarde?
Qualche problema in più riguarda il patrimonio immateriale, come nel caso, assegnato all’Italia nel 2020, de “L’arte musicale dei suonatori di corno da caccia”, non proprio semplice da intercettare, viste le restrizioni cui è sottoposta l’arte venatoria.
Per la Cucina italiana, tuttavia, ci sono molte più opportunità che l’auspicato inserimento nel Patrimonio dell’umanità possa portare benefici per accrescere il soft power del nostro Paese.
Secondo le più recenti ricerche, oltre il 55% dei viaggiatori provenienti dall’Europa e dagli USA sceglie l’Italia come destinazione anche per l’aspettativa di un’eccellente esperienza enogastronomica.
Ma l’intelligente dossier di candidatura non centra la sua proposta su una tale scontata evidenza (d’altronde la dieta Mediterranea è già patrimonio Unesco), quanto sul particolare stile di vita che, in Italia, è connesso al “mangiare”.
A essere certificati sono valori come la convivialità, le relazioni e tradizioni familiari, la cura per conservare antiche ricette, la geo-diversità e diffusione territoriale del cibo, l’attenzione agli ingredienti naturali e alle coltivazioni agricole.
Come arte e architettura, paesaggio e lirica, la cucina è parte della nostra cultura nazionale, e in più non è cristallizzata nel tempo, ma in continua evoluzione. Sarebbe un bel primato per rendere più forte la nostra influenza nel mondo, con riflessi positivi anche sulla competitività e sull’export. Ma dovremo promuovere in modo coeso un’idea accogliente dell’Italia, con il bollino Unesco che aiuta, ma da solo non basta.








