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[Lo scenario] Ex Ilva in crisi, lo Stato è pronto a salire al 60 per cento

Potrebbero essere necessarie nuove risorse e ulteriori interventi per l’ex Ilva. Da una parte il governo che chiede un «riequilibrio nella governance», per dirla con le parole del ministro per le Imprese Adolfo Urso, riferendosi a socio pubblico Invitalia deputato ad aumentare la propria partecipazione. Dall’altra il socio privato, che guida l’azienda, l’ex Ilva, in crisi di liquidità da mesi, tanto da non riuscire più a pagare le bollette di gas ed energia elettrica a Eni, con un’esposizione superiore ai 300 milioni «Non più bancabile, tanto che non si può più escludere la messa in liquidazione», registrano fonti. Nel mezzo i sindacati, che spingono per la nazionalizzazione di quella che era l’Ilva dei Riva e che adesso vorrebbero riportare ai tempi dell’Italsider.

I due fronti verranno a contatto venerdì, nell’assemblea di Acciaierie d’Italia, in cui bisognerà tradurre i propositi del governo. Cioè un maggior peso dello Stato, anticipando l’incremento della partecipazione pubblica dal 32 al 60%, previsto al 2024, già nel prossimo anno. Solo così il governo sarebbe disposto a iniettare nuove risorse, quelle del Pnrr per la transizione e quelle dell’aumento di capitale previsto dall’Aiuti bis: in tutto 2 miliardi che ha spiegato lo stesso ministro «abbiamo il dovere di sapere come saranno spesi». Sarà un’assemblea calda: già convocata per lo scorso 25 novembre, è slittata al 2 dicembre. E se è vero che il rinvio è stato concordato dagli azionisti, è altrettanto vero che la motivazione è da ricercarsi nelle posizioni distanti dei soci.

Soprattutto dopo lo schiaffone ricevuto dal governo da parte dell’amministratore delegato Lucia Morselli che ha disertato l’incontro fissato dallo stesso Urso lo scorso 17 novembre dopo la decisione dell’azienda di sospendere i rapporti con 145 imprese dell’indotto, con il rischio di almeno altri 2 mila addetti in cassa integrazione. Decisione su cui Acciaierie d’Italia non ha fatto passi indietro. Che il clima sia teso è evidente ieri Urso ha ribadito che occorre «invertire subito il declino produttivo di Ilva. Oggi produce appena 3 milioni di tonnellate a fronte dei 6 concordati, con l’obiettivo di tornare a 8. Le risorse stanziate devono essere impegnate a questo fine, stiamo valutando anche se siano necessari ulteriori interventi per facilitare riconversione e investimenti».

«Cambiare la governance» non è semplice. Attualmente Arcelor. Mittal detiene il 68% di Acciaierie d’Italia e Invitalia il restante 32%, con diritti di voto al 50% e ceo espresso dai privati e presidente (Franco Bernabè) dal pubblico. Sulla carta tutto dovrebbe restare così fino ad aprile 2024, per lasciare il tempo al completamento del piano ambientale e permettere alla magistratura di dissequestrare gli impianti, una delle condizioni previste perché lo Stato possa andare in maggioranza.

Ed è su questo paletto che fa leva ArcelorMittal: non è necessario cambiare la governance per iniettare le nuove risorse, né tanto meno si può più aspettare che ciò si realizzi. Ma il governo ha pronta la mossa che può sbaragliare, anche solo se minacciata: la revoca del contratto che permette ad Acciaierie d’Italia di utilizzare gli impianti. Che sono ancora pubblici, in carico all’Ilva in amministrazione straordinaria.

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