Stiamo assistendo a una spinta verso la creazione di un mercato unico europeo del capitale per consentire al Vecchio continente di tornare a competere con le altre piazze a livello globale.
Nel consolidamento dei mercati azionari europei, favorito dal gruppo Euronext, non devono però essere determinanti la sola flessibilità regolamentare e costi di accesso al listino, ma particolare attenzione va posta alle peculiarità che nei decenni hanno sviluppato i sistemi finanziari, imprenditoriali e professionali dei singoli Paesi membri.
Flessibilità regolamentare è, peraltro, un concetto spesso abusato e che si presta a derivate di de-regulation e populismo finanziario.
Per sostenere le imprese europee serve un sistema, fruibile alle imprese stesse e agli investitori di capitali, che sia accogliente e di supporto.
Ciò non significa popolare il mercato di micro-cap difficilmente appetibili per gli investitori o aprire le porte a qualsiasi società in assenza di criteri o controlli, ma rinforzare e orientare ecosistemi con regole e applicazione delle stesse che facilitino un efficiente raccordo tra aziende e investitori.
Serve sviluppare dialettica e promuovere un’azione costruttiva, coinvolgendo operatori di industria finanziaria e autorità preposte, con il comune obiettivo di creazione e condivisione di valore sul mercato evitando incoerenza tra proposta e domanda, semplificando processi e abbreviando tempi di reazione che rendono repulsive alcune delle piazze finanziarie dei Paesi dell’Unione.
Anche le istituzioni europee dovrebbero promuovere tale consolidamento (alla stregua delle strette sul treaty shopping per eliminare distorsioni e arbitraggi tra Paesi membri), riconoscendo una leadership funzionale alle piazze locali, sulla base delle rispettive economie e mercati, nei vari segmenti.
L’Italia ha naturalmente le caratteristiche per essere a guida del segmento Smes, lo dicono i dati: quasi metà delle società quotate su mercati gestiti da Borsa Italiana sono trattate su Euronext Growth Milan, mentre a Parigi le Smes (che, peraltro, sono più grandi della pmi nostrana, con una market cap media doppia rispetto alle società sull’Egm) rappresentano soltanto un quarto dei listini equity locali.
Il tessuto imprenditoriale italiano è un vivaio di pmi eccellenti, spesso leader nella propria nicchia di mercato, che hanno saputo esportare all’estero i propri prodotti e servizi, non chiudendosi nei confini nazionali, ma abbracciando un orizzonte di opportunità (commerciali) europeo e globale.
L’esperienza del nostro sistema Paese, con le sue competenze professionali e finanziarie dedicate a medie imprese, che ne sono il cuore e traino economico, ci pone nella posizione, se non nell’urgente responsabilità, di assumere la regia di un segmento growth paneuropeo che permetta di esportare (e rendere sistematici) interventi a supporto dell’incontro tra capitali e pmi di successo, come per esempio la riformulazione delle azioni di stimolo e agevolazione degli investimenti in pmi virtuose, con soluzioni atte a facilitare anche la diffusione granulare di investitori franchi da obbligo di rispetto di indici di liquidità giornalieri, o il sostegno ai programmi di aggregazione tra imprese favorendo il consolidamento per la formazione di campioni di distretto e filiera.
Non meno importante sarà, al contempo, incorporare e attuare i principi del Listing Act (già in parte introdotti con ddl Capitali) per rendere accogliente l’accesso al listino.
La Francia, il mercato borsistico più grande nell’Ue (seconda, fino a Brexit, solo a London stock exchange), è il candidato ideale per la leadership del segmento large-cap.
mentre l’Olanda, già storicamente piazza corporate favorita dalle holding di grandi gruppi, ne sarebbe anche il naturale leader in ambito di organizzazione del mercato del capitale.
I fondi e, in generale, i veicoli di investimento quotati potrebbero, invece, beneficiare di una regia lussemburghese al mercato del capitale, in continuità con la supervisione regolamentare degli stessi che già vede l’autorità locale (Cssf) primeggiare come punto di accesso in Europa.
Serve impegno corale, degli operatori, delle autorità, dei soci di minoranza di Borsa Italiana (Cdp e Intesa) e politico, affinché il consolidamento e creazione di un mercato unico europeo del capitale non sfoci nell’utilitarismo, o nella competizione a tutto campo tra piazze europee, ma sia guidato da un inedito nazionalismo (diametralmente opposto al nazionalismo tradizionale) a beneficio di tutti gli stakeholder, trainato dalle specifiche leadership funzionali, determinate dalle competenze peculiari, degli Stati membri.