Transizione energetica e sanità digitale. Due settori al centro del Pnrr e delle strategie di settore pubblico e aziende private, che possono trarre beneficio da un’implementazione sistemica dell’intelligenza artificiale.
Questi i temi al centro della seconda giornata della rassegna “Gli Stati Generali dell’Intelligenza Artificiale” di Class Editori, che ha messo a confronto i principali interpreti delle due industrie.
Il settore energetico, scrive MF-Milano Finanza, è uno dei primi beneficiari. Alessandra Fidanzi, head of digital center of excellence di Eni, ha spiegato come la sua azienda utilizzi “i dati e le capacità di calcolo applicandoli a diversi pilastri: massimizzazione dell’efficienza; accelerazione della transizione energetica; semplificazione dei processi aziendali”.
Il tutto passa dal dialogo con università e centri di ricerca. “Abbiamo un approccio alla open innovation che guarda a università, startup, tecnologie di frontiera”, ha sottolineato Giuseppe Amoroso, head of digital strategy and governance di Enel.
“Dobbiamo fare in modo che l’utente-consumatore finale abbia a disposizione un’elettricità davvero conveniente, e per farlo dobbiamo digitalizzare tutta la catena del valore”.
Concorde sul punto anche Marco Pietrucci, head of innovation di Terna: “I dati servono a gestire in sicurezza tutto il servizio elettrico nazionale in ogni istante”.
I software di Ai, “addestrati con le competenze Terna, elaborano centinaia, migliaia di immagini, permettendo di tenere sotto controllo in ogni momento l’efficienza elettrica nazionale”.
Spazio poi al dialogo con le imprese e i territori, come ha insegnato Irene Sardellitti, head of architecture, digital & Ai di Snam: “Presidiamo vari tavoli tecnici, nazionali e locali, perché sappiamo che questo strumento richiede competenze che devono entrare in azienda sia tramite l’università sia tramite altre aziende che si trovano nella stessa condizione”.
E chi fa intelligenza artificiale per mestiere? Un esempio è eViso, che applica la tecnologia al settore delle commodity.
“Decliniamo l’Ai su due pilastri”, ha detto il ceo, Gianfranco Sorasio, “tecnologia, quindi analisi predittiva di oltre 100 milioni di dati al giorno; e poi decisioni, cioè vera e propria compravendita delle commodity”.
E poi c’è l’healthcare. Il mercato dei big data applicati alla sanità in Italia vale 135 milioni, e si avvia a sfondare quota 200 nel 2025.
“Il punto di ingresso è sempre il dato, che da solo però è inutile”, ha detto Giuseppe Parrinello, membro del gruppo di lavoro digital transformation in sanità di Anitec-Assinform.
“Siamo sommersi di dati, compresi quelli che doniamo spontaneamente ai social. Di questi dati si può fare uso con la tecnologia, che sia in grado di elaborarli”.
Dal canto suo Alessandro Mantelli, cto del gruppo Almaviva, ha fatto notare che “il passaggio successivo è memorizzare i dati, che però sono sensibili, e come tali vanno trattati”.
Si deve creare, in sostanza, “un trade-off tra dati e loro utilizzo, facendo in modo che siano fruibili ma non riconoscibili”.
Un nodo da sciogliere è quello della governance. “Alcune applicazioni dell’Ai sono automatiche”, ha esemplificato Elena Bottinelli, head of digital transition and transformation del gruppo San Donato, “altre invece sono legate alla fiducia: il medico spesso è ancora titubante, perché ha una competenza digitale arretrata”.
C’è poi la sfida dell’interoperatività tra tanti sistemi sanitari regionali. Luca Foresti, ceo di Santagostino, ha detto: “Per avere l’intelligenza artificiale servono dati di qualità, e per avere questi ultimi servono erogatori che parlino un linguaggio comune”.
Il Pnrr, ha aggiunto, “ha questa ambizione, creare un linguaggio comune: questa cosa va fatta e i dati vanno gestiti da qualcuno”.
Oltre alla sanità, grande opportunità ci sono nel settore della diagnostica. “L’Ai applicata al settore già esiste e ha generato prodotti”, ha fatto presente Giovanni Valbusa, digital innovation r&d project manager di Bracco.
L’immissione sul “non è stata però totalmente strutturata: ci sono molti spin-off e startup nati in ambiente universitario, ma queste sono iniziative che si sono adattate a un contesto in cui l’industria deve ancora capire come muoversi per generare valore”.